Alberto Pian

Alberto Pian

FOTOGRAFIA: CORPO E ANIMA

Che cosa ho fatto quando Elena Mazzei @eliactive mi chiesto delle fotografie speciali, che fossero “diverse” dalle foto e dai filmati che ogni giorno crea e pubblica in proprio?

Riferimenti: Elena Mazzei | Instagram: @eliactive | YouTube: https://www.youtube.com/@eleactive | Linkedin: https://www.linkedin.com/in/elena-mazzei/

Be’ come sapete non amo parlare della fotografia come shooting (non uso questo termine), ma preferisco parlarne come storytelling, cioè come espressione di una narrazione, o come ispirazione. Perciò le ho proposto un colloquio per lo storytelling, anche se mi aveva contattato per avere delle fotografie di un certo tipo, che aveva visto sui miei profili.

E siccome è più facile “fare”, che parlare ci siamo subito visti tramite Zoom, a distanza, per un lungo incontro (PS: anche tu puoi avere un colloquio gratuito con me per fotografia, storytelling, comunicazione).

Il colloquio “fotografico”

Perché mai, per realizzare un semplice servizio fotografico, avrei bisogno di un colloquio approfondito e, specialmente, di un colloquio per lo storytelling?
Il motivo è che avremmo realizzato delle fotografie di ispirazione. La richiesta era di avere immagini differenti da quelle tradizionalmente scattate e questa differenza riguardava proprio la decontestualizzazione del soggetto e del corpo.
Dunque si tratta di fotografie che devono ispirare e per produrre le quali occorre essere ispirati. È vero che queste fotografie non raccontano una vera e propria storia. Nessuna immagine racconta una storia, ma mostra solo ciò che l’occhio vede. Tuttavia, essendo decontestualizzate, interagiscono con l’immaginario dello spettatore in modo più profondo rispetto a una immagine che comunica un messaggio chiaro e specifico.

Che cos’è un’immagine “contestualizzata”?

È una fotografia nella quale, in linea di massima, si distingue bene un soggetto, quello che sta facendo, perché lo sta facendo e in quale ambiente. L’ambiente viene mostrato con precisione, insieme allo stesso soggetto.
Per esempio le immagini qui sotto rappresentano Elena mentre svolge degli esercizi e assume delle pose nella città di Milano. Si distinguono le strade, la natura, eventuali strumenti utilizzati o la palestra.

La prima foto di questa serie rappresenta un buon tentativo di decontestualizzazione creato in proprio da Elena e, giustamente, è stato scelto da Elena stessa come cover di un suo filmato. Poi abbiamo il suo marchio e una fotografia classica.
Ambienti diversi per far comprendere la versatilità della cura che il pubblico può praticare per il proprio corpo.

Qual è l’utilità di una immagine contestualizzata?

La sua utilità risiede nel fatto di mostrare e far capire bene allo spettatore che cosa sta facendo il soggetto che viene ripreso, se è vivente, o la sua funzione se è inanimato. Spesso deve anche mostrare i dettagli, in questo caso di un corpo che assume delle posizioni, che appare in una certa forma dinamica. Lo spettatore deve poter dire “È possibile, lo posso fare.” Oppure: “Ah! si fa così.” e ancora: “Che continuità e che forza mostra Elena con queste foto.” E così via.
Detto in altri termini: ti mostro una realtà precisa che in qualche modo può essere anche la tua. Infatti Elena aiuta , suggerisce, supporta, invita, ispira le persone ad avere fiducia in se stesse, ad avere cura del proprio corpo e, soprattutto, attraverso la continuità della sua comunicazione, a capire l’importanza di un atteggiamento, di uno stile di vita costante e coerente per “stare meglio”.

Se le immagini fossero troppo astratte, se non si capisse dove si trova Elena, se non fosse chiaro che puoi lavorare tanto in palestra quanto in un giardino oppure per strada, il pubblico non sarebbe stimolato a seguire le sue indicazioni. Queste vivrebbero nell’immaginario senza reificarsi nella realtà. Cioè rimarrebbero un’aspirazione.

Ma allora perché pensare anche a un altro tipo di fotografia?

È una bella domanda. In effetti se la comunicazione contestualizzata funziona molto bene e per il pubblico è chiara, perché aggiungere un altro tipo di rappresentazione?
Il motivo è semplice (secondo me):

Nessun essere umano fa quello che deve fare solo perché lo deve fare.

In qualche modo c’entra un gioco di passioni, di poesia, di ispirazione. Certo, se svolgi un lavoro e devi compiere certe operazioni le dovrai fare per ricevere il tuo stipendio, piaccia o no, passione o non passione.

Ma quando si tratta di un atto volontario, che richiede anche uno sforzo per uscire da quella che si crede essere una zona di comfort, le cose diventano più complicate.

Riflettiamo: quante persone non si prendono cura di sè nonostante abbiano ricevuto delle prescrizioni, perfino mediche?

L’essere umano non ha bisogno solo di motivazioni (lo devo fare per contrastare il diabete, lo devo fare per sentirmi meglio…).

Se al “lo devo fare” aggiungiamo anche un po’ di poesia, immaginazione e ispirazione, la percezione del piacere, all’interno del dovere sarà più chiara e stimolante.

Osservate le tre fotografie qui sotto.

Non mostrano alcun tipo di ambiente, ma non mostrano neppure integralmente il corpo e neppure quella che viene considerata la parte più importante del corpo stesso: il volto.

In effetti tutti conoscono “il corpo” e le sue posizioni e ne sono affascinati.

Anche se non hai mai visto Elena, un po’ la conosci perché sai che cos’è un corpo e ne ammiri ogni giorno le posizioni e i movimenti in una molteplicità di occasioni. Innanzitutto conosci il tuo corpo, poi quello degli altri, nelle immagini di moda e di bellezza, poi nell’Arte, nella pittura, nella fotografia, a teatro e sei perfino abituata/o a stabilire anche dei confronti e a provare varie emozioni e sentimenti a riguardo.

Qualsiasi cosa tu faccia, il corpo non ti è per nulla estraneo. Conosci anche la danza che è una delle più alte espressioni del corpo, è uno spettacolo centrato sulla bellezza del corpo e dei suoi movimenti. In questo senso il corpo è, per definizione, poetico.

Queste tre foto non mostrano e non spiegano al pubblico che cosa stia facendo Elena, perché il pubblico lo sa (sia perché ha una conoscenza, anche superficiale, di questa attività, sia perché vede le immagini di Elena nello specifico). Dunque le foto offrono, come dire? L’imbeccata all’immaginario del pubblico. Sarà lo spettatore a completare, con la propria fantasia, il movimento di un corpo che appare bello nell’azione. Cioè presenta un lato che tende verso la poeticità della materia.

Ecco il senso della richiesta di Elena: mostrare al pubblico entrambe le facce del suo lavoro, esercizio e poesia.
Mentre una buona foto contestualizzata si può realizzare anche in proprio, rappresentare se stessi e il proprio corpo per parlare al lato immaginario e poetico del pubblico richiede una collaborazione professionale.

La poesia astrae da qualsiasi contesto

Dunque anche io avevo bisogno di conoscere meglio Elena e di essere ispirato da lei per poterla rappresentare in modo più “astratto”, per cercare quella poesia legata al corpo e non all’ambiente, che ci interessava far conoscere al pubblico.

Per questo il lavoro non si svolge come in un classico servizio fotografico. Il soggetto non deve essere “diretto”, non occorre creare un set con la sua scenografia e gli oggetti di scena. Bisogna lasciarsi guidare da un mix di istinto ed esperienza in stretta cooperazione con il soggetto. Elena conosce le posizioni, conosce il suo corpo. Non siamo noi a dirigerlo. Noi dobbiamo essere pronti a inquadrare e a scattare in modo da rappresentarlo al meglio in base a quello che fa nel momento stesso in cui lo fa.

Dunque non applichiamo una “messa in posa” perché non vogliamo “costruire” uno storytelling, ma vogliamo cogliere e valorizzare quello che emerge spontaneamente.

Favorire la sintonia

Il set non richiede nulla di particolare. Non ci sono elementi di scena e non è necessario creare un’atmosfera drammatica poiché basta avvolgere il corpo nella sua anima, bianca. Occorrono solo degli accorgimenti tecnici per disporre le luci e le impostazioni manuali di scatto, senza raffica e senza automatismi, che bloccano la sintonia che si genera con il soggetto da fotografare.

Infatti occorre che vi sia sintonia tra soggetto fotografato e fotografo. Questa sintonia si forma certamente perché si è parlato in modo aperto e approfondito ma, soprattutto, perché si condividono gli obiettivi e il modo per raggiungerli. Così si crea quella spontaneità che può essere catturata da una fotografia.

In campo fotografico questi sono fra i lavori che preferisco e quello con Elena è stato uno dei più appassionanti.

Quindi, per costruire il set sono bastati un fondale bianco e un telo bianco, un paio di outfit e la grande pazienza di Elena a sopportare le luci continue che, al posto dei flash, ci hanno permesso di avere quella fluidità visiva che ha contribuito a creare l’atmosfera nella quale immergersi.

Qui sotto alcune fotografie con un commento per il lettore, affinché possa comprendere meglio il senso di questo lavoro.

Verso una decontestualizzazione

A differenza delle tre fotografie precedenti, quest’altra serie di tre riguarda la rappresentazione del corpo in modo più preciso, ma ancora senza elementi ambientali. La rappresentazione corporea in una fotografia trasmette sensazioni radicalmente diverse se lo stesso corpo e le stesse posizioni sono fotografate in un ambiente oppure in uno spazio indefinito.

Se lo spazio è indefinito, come nel caso delle fotografie che riporto qui sotto, ma il corpo è rappresentato in modo preciso, abbiamo l’inizio di un processo fotografico di decontestualizzazione. Questo inizio consiste prima di tutto nell’isolamento del corpo, in modo che l’occhio dello spettatore non sia distratto da altri elementi e si possa concentrare sulle linee e sulle forme del corpo. La fotografia così concepita non si rivolge ancora in modo speciale e univoco all’immaginario del pubblico perché continua a offrire delle informazioni specifiche sul corpo fotografato, poiché il corpo appare definito e preciso.

Che cosa vogliamo mostrare?

Al contrario delle fotografie che ho appena prima, questa sottostante nasconde parte del corpo, ne fa intuire la grazie e i movimenti, ma mostra il viso.

Anzi, direi che mostra la tensione del viso in una pressione particolare: la bocca accenna a un sorriso ma, al contempo, partecipa a uno sforzo generale che anche gli occhi esprimono. Il corpo è bellezza e armonia ma anche lavoro. Anzi, Elena direbbe che il lavoro è alla base della sua bellezza e armonia. Non mostriamo un corpo sudato in palestra nella tensione dei suoi muscoli, ma un corpo leggero nel quale la tensione si percepisce senza smontarne la grazie e la poesia. La gamba che si vede – non si vede è il culmine di questa tensione, ma la sua grazie è lasciata intuire allo spettatore perché l’immagine è a togliere il più possibile, a nascondere.

Allo stesso tempo l’immagine non esprime la carica sessuale del corpo femminile, come in tante fotografie che mostrano il corpo di una donna, di una modella. Esprime invece la grazia e la grazia è certamente eros, perchè eros e corpo sono inseparabili, ma non è sessualizzata, non mostra messaggi erotici e non lo deve fare perché altrimenti, a sua volta, sarebbe una fotografia contestualizzata, cioè destinata a trasmettere un messaggio, in particolare un messaggio sessuale (morboso).

Questa fotografia invece mostra tutto il corpo e il viso ma non i suoi elementi specifici perchè quello che conta sono le linee emerse in seguito a un movimento. La bellezza di questo corpo non riguarda il corpo stesso (come a un concorso di bellezza), ma le linee che assume, la sua dinamicità. Certo, è ovvio che non tutti potrebbero assumere questa posizione, io per primo! Ma il senso di queste linee che attraversano lo spazio dell’immagine è ugualmente universale anche se il singolo soggetto che le osserva non sarà in grado di riprodurle.

Elena ti dirà che attraverso il suo aiuto tenderai, raggiungerai o addirittura supererai la plasticità che vedi in questa immagine, ma la fotografia rappresenta questo messaggio attraverso una sorta di poesia di linee che puoi guardare senza stancarti.

Osserviamo la fotografia qui sotto.

Anche questa fotografia esprime gli stessi concetti, ma attraverso una posizione più complessa alla vista e più chiusa rispetto alle linee precedenti che invece manifestavano un’apertura. Ora il movimento tende a chiudersi, prima tendeva ad aprirsi.

Contrapposizioni e contrasti

E in questa forma, che appare chiaramente chiusa, che cosa scopriamo?

Se notate è sicuramente più chiusa della precedente fotografia poiché il movimento è completo. Abbiamo però un abbigliamento bianco, più leggero, più rappresentativo di un’anima, se lo possiamo dire; e poi inquadratura e posizione sono differenti. Per tutto questo si percepisce una maggiore leggerezza rispetto alla fotografia precedente, che era più drammatica. Si tratta di sfumature, non di differenze così consistenti e pesanti, ma queste sfumature esistono, sono state cercate e adesso si possono osservare. L’ombra delle schiena mostra un corpo che si piega, si arrotonda, tende quasi a dividersi in due sezioni, ma mantiene la sua unità e armonia.

Detto in altri termini: questa fotografia contiene una sorta di conflitto corporeo, di potenziale contrasto.

La fotografia che segue mostra e non mostra un movimento del corpo e quindi è composta da linee non definite, mosse.

Esattamente il contrario di queste altre due immagini che invece sono silouette e che nascondono l’essenziale, ma mostrano perfettamente i contorni, dunque la massa del corpo, mentre nella fotografia precedente la massa era aerea, inesistente.

La seconda silouette mostra anche l’accenno a un movimento, rispetto alla staticità della prima. E se vogliamo parlare di giochi di ombra più marcati, allora ecco qui sotto una fotografia che esprime una sensazione cabarettistica, musicale e da spettacolo, mentre in realtà propone una delle classiche posizioni impiegate da Elena per la sua specifica attività.

Adesso osserviamo invece la leggerezza di un corpo di cui vengono mostrate solo alcune parti.

Un corpo “tagliato” o selezionato nei suoi componenti

Queste fotografie continuano il gioco vedo non vedo mostrando quelli che sono normalmente considerati tagli improbabili nella fotografia tradizionale. Scattereste una foto tagliando il busto e la testa delle persone che inquadrate? Oppure mettendo a fuoco solo un loro arto? Certo che no, ed è meglio che non lo facciate!

Ma qui il caso è diverso. Riusciamo a trasmettere nuovamente quella leggerezza, plasticità e poesia che stavamo cercando, tagliando fuori parti più importanti, soffermandoci su elementi marginali (per il senso comune)? Osservate la plasticità e il movimento delle gambe delle prime due inquadrature avvolte dalla stoffa bianca e leggera che lo evidenzia.

Che cosa abbiamo fatto? Ci siamo concentrati sull’eleganza, non sul corpo in se stesso.

Volumi e muscoli

Ritroviamo eleganza anche nei muscoli, se li inquadriamo e li fotografiamo in un certo modo. Guardate queste due fotografie che ho accostato. Il collo e la testa di Elena esprimono due messaggi molto differenti.

Nella prima penso che possiate notare il contrasto fra il sorriso e la tensione dei muscoli del collo. La plasticità e la posizione raggiunta sono ottenute grazie a uno sforzo di tutto il corpo, uno sforzo molto impegnativo, che i muscoli del collo mostrano in modo chiaro, anche se non pesante e marcato. Ma il sorriso per aver ottenuto la posizione, ora al centro dell’interesse del fotografo, esprimono un punto d’arrivo. Lo sforzo determina il sorriso, le due componenti sono inseparabili. In fondo questa è anche una lezione di vita.

Completamente diversa è invece la fotografia che ho contrapposto e che mostra il volto di Elena di profilo. Il sorriso è analogo, ma non possiamo individuare con altrettanta facilità la tensione e lo sforzo del suo corpo. I muscoli del collo, che pure sono presenti anche in questa fotografia, non sono inquadrati con lo scopo di mostrare la tensione e lo sforzo della posizione. In questa fotografia la loro funzione sembra piuttosto quella di sorreggere la testa, cioè sembrano chiamati a compiere un’azione ordinaria, che ognuno di noi pratica per quasi tutto il giorno senza nemmeno accorgersene. Non si tratta di un’azione straordinaria come quella di assumere una posizione impegnativa, grazie alla volontà del soggetto, mostrata nella fotografia superiore.

La fotografia qui sotto mostra in modo ancora più marcato il volume del corpo e la tensione dei suoi muscoli. È la curva della schiena che evidenzia le costole in tensione. Anche se è la sola tensione che percepiamo è sufficiente a mostrare tutto l’impegno del corpo, ma senza romperne l’armonia. Altrimenti avremmo realizzato una fotografia da body building e non ci saremmo portati verso il lato poetico del corpo.

Detto in altri termini:

Più a prevalere è il dato tecnico e meno poetica sarà l’immagine del corpo.

Un confronto evidente

Tutto ciò che ho spiegato fino a questo punto sarà ancora più chiaro al lettore dal confronto di queste fotografie che rappresentano la stessa posa di Elena in due contesti diversi e in tre modalità differenti.

Due contesti diversi perché la prima fotografia è scattata in un ambiente definito mentre le altre due sono in studio con limbo bianco, e in tre modalità diverse perchè gli indumenti sono molto diversi fra loro.

La prima fotografia a sinistra mostra un copro tecnico, un corpo mostrato come esercizio il cui scopo è ottenere tecnicamente un certo risultato. Siamo in un ambiente domestico o in una palestra, il pubblico osserva questa fotografia come esempio per sè, come il raggiungimento “pedagogico” di un risultato.

La fotografia al centro invece mostra le linee di un corpo che tiene una posizione. Non c’è ambiente, quello che conta sono le forme del corpo che sono delimitate dalle linee. Questa fotografia si osserva proprio per questa armonia che nella foto precedente esiste, ma non è isolata dall’immagine nel suo insieme e quindi non è l’elemento dominante.

La terza immagine invece mostra lo stesso corpo nella stessa posizione, ma il corpo è solido. È un corpo che esiste nei suoi volumi, è un corpo tridimensionale con le sue ombre ma, allo stesso tempo, è un corpo che tende alla leggerezza, nonostante ne rappresenti i volumi, che si mescola con il bianco dell’ambiente. La terza immagine è dunque più poetica, è meno tecnica.

Possiamo dire che la prima fotografia è tecnica, la seconda è geometrica, la terza è volumetrica. Oppure che la prima è contestualizzata, la seconda è compositiva, la terza è poetica. Fra le tre fotografie quella che esprima un eros maggiore è la terza, perché il corpo appare nel suo volume, risaltato dal contrasto del bianco e nero. Ma tutte e tre le fotografie esprimono grazia, armonia, dinamicità, conquista di un punto di equilibro senza sforzo (lo sforzo di Elena sembra molto naturale), perché è questo che il corpo di Elena rappresenta in quella posizione.

Che cosa fare di queste foto?

Dunque le fotografie che ho realizzato per Elena parleranno allo spettatore in modo diverso rispetto a quelle contestuali. Forse (questa è la nostra intenzione), lo portano in un mondo di poesia, eleganza, plasticità, linee che il suo immaginario è chiamato a completare.

E quindi come le possiamo utilizzare? Come le utilizzerà Elena?

Ogni tanto, con misura e senza esagerare, saranno pubblicate insieme alle altre fotografie quotidiane. Devono essere trattate come delle spezie in un piatto: un ingrediente che in piccole quantità e non per tutti i piatti, introdurrà un certo profumo, arricchirà un determinato gusto.

Questo gioco di equilibrio è importante, altrimenti tutta la comunicazione assumerebbe un tono eccessivamente astratto e il risultato sarebbe racchiuso nel solo godimento estetico, senza un messaggio preciso per il pubblico, mentre il messaggio è importante per il lavoro che fa Elena:

Prenditi cura di te e del tuo corpo e anche la tua mente e la tua vita ne gioveranno!


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