Il dovere morale di un’amicizia?
Cercano di aiutarsi reciprocamente, di sostenersi a vicenda anche perché la zia di Lennie si affida Geroge affinché qualcuno abbia cura di questo ragazzo, è afflitto da disturbi cognitivi.
Era capitato che George avesse compiuto nei confronti di Lennie dei veri e propri atti di bullismo. In una determinata occasione lo aveva gettato in acqua e a momenti Lennie affogava se lo stesso Geroge non fosse intervenuto per salvarlo.
È chiaro che George in quel momento capisce davvero come stanno le cose e sente che deve a Lennie la sua protezione. Ecco, ci chiediamo, dovuta e praticata anche per le parole che la stessa zia aveva pronunciato, affidando a George questo compito?
Detto in altri termini: si tratta di una costrizione, di un dovere morale, quello che prova George verso Lennie, oppure stiamo parlando delle fondamenta di una vera amicizia? Di un vero e proprio piano affettivo?
Questo tema è un vero e proprio gioco psicologico che si manifesta, in un senso o nell’altro, in tutto il romanzo.
La questione centrale
Si può parlare di questo romanzo per uno dei numerosi temi che contiene: la disoccupazione, il vagabondaggio, il lavoro stagionale, il razzimo e la stessa pacata sottomissione dei neri che accettano la dominazione bianca, la brutalità selvaggia di una popolazione vittima di stereotipi che nutre sete di vendetta come spostamento su un altro piano della consapevolezza del proprio insuccesso. Si può parlare del «sogno americano» distrutto nella crisi degli anni Trenta, delle delusioni di una donna vittima della seduzione maschilista di quello che sarà poi suo marito… ma il tema centrale, quello intorno a cui ruota tutto, quello che vede Steinbeck impegnato in una scrittura di grandissima elevazione, è proprio questo gioco dei sentimenti fra Lennie e George, che pone sempre il problema dell’amicizia e del suo valore.
Lennie combina diversi guai, costringendo i due amici a fuggire a varie riprese. Infatti soffre di una minorazione psichica, ma è dotato di una forza eccezionale; ama toccare i topi e le cose morbide, ma sovente uccide senza volere gli animali che accarezza. George è la sua guida e si sente investito della responsabilità di badare a Lennie.
Uniti da un sogno (americano)?
Infine, trovano un impiego presso un ranch di Salinas, il cui padrone è un vero tiranno e la moglie, giudicata dalle maestranze maschiliste e imbruttite una donna dai costumi piuttosto liberi ed equivoci (non è così, ovviamente). Estremamente delusa dal suo matrimonio e dalle promesse tradite del marito che avrebbe dovuto portarla a vivere in città, magari nei pressi di Los Angeles – Hollywood, dove sperava di intraprendere una qualche carriera cinematografica, suscita gelosie profonde nel marito, che per questo litiga anche con Lennie.
E poi, in un momento di confidenza e tenerezza Lennie, abbracciandola involontariamente con tutta la sua forza, la uccide spezzandole l’osso del collo. Per questo scappa e George lo insegue.
In una straziante scena finale George, fantasticando con l’amico sul loro comune sogno di possedere una fattoria, uccide Lennie, senza che questi se ne accorga, per salvarlo dal linciaggio di una folla inferocita ormai sulle sue tracce. Una folla che scarica l’incapacità di ribellarsi contro la società, l’incapacità di riscattarsi socialmente, contro il povero Lennie, un capro espiatorio.
Il nostro interesse riguarda proprio l’articolazione dei sentimenti fra i due, che mette in scena un complesso e reale intreccio che poi è quello che fonda realmente l’amicizia, basata su una vera e propria carica affettiva. La conclusione mette in luce proprio questo, proprio l’affetto, i sentimenti che uniscono i due amici in una delle più belle narrazioni che su questo tema siano mai state espresse, senza iperboli, senza non detti, senza barocchismi e descrizioni inutili, ma con la densità poetica che collega le parole ai sentimenti. Un racconto che ci mostra la grande umanità dei due personaggi e il valore universale dei loro sentimenti.
Epilogo
Siamo dunque all’epilogo della vicenda. Lennie scappa dopo l’omicidio, gli inseguitori sono sulle sue tracce per linciarlo.
George lo raggiunge per salvarlo, per proteggerlo dalla furia umana. Se il lettore aveva avuto il dubbio che per George Lennie fosse un peso, che George non provasse un affetto sincero per Lennie, qui deve ricredersi. George parte per salvare Lennie.
Forse l’unico modo è risparmiare all’amico questa tragedia, forse è possibile farlo sognare ancora un po’, spingerlo a pensare alla fattoria che avrebbero avuto, al futuro che lo avrebbe atteso, un futuro bruscamente e inconsapevolmente cancellato e quindi poi salutarlo così, nel corso di un ultimo dialogo fra amici, nel corso della visione di un ultimo sogno, prima di togliere la vita a Lennie, per un gesto compassionevole di umanità nei suoi confronti.
Quindi, davvero, una conclusione forte, che ci fa riflettere: che cos’è l’amicizia? fin dove si può spingere? che cosa sono la pietà e la compassione e come si possono manifestare? E per toccare temi vicini al nostro presente, possiamo parlare di togliere o togliersi la vita: può essere un gesto umano, necessario?
Difficile oggi trovare, sul piano puramente narrativo, la capacità di legare contenuti così intensi a una narrazione così semplice e chiara, poetica e profonda. Il motivo è che oggi si “comunica”, non si “racconta”.
Leggiamo la conclusione della storia
Ecco come si conclude il romanzo, lasciamo il lettore riflettere senza ulteriori commenti.
George disse pacato: "Che cos'hai da gridare?"
Lennie si alzò sulle ginocchia. "Non mi pianterai, vero, George? So che non mi pianterai."
George gli venne asciuttamente accanto e si sedette al suo fianco. "No."
"Lo sapevo," gridò Lennie. "Tu non sei di quelli."
George taceva.
Disse Lennie: "George?"
"Eh?"
"Ho fatto un altro guaio."
"Non ha importanza," disse George e tacque un'altra volta.
Ormai non prendevano più il sole se non gli estremi profili della montagna. L'ombra nella vallata era morbida e azzurra. Da lontano giunse il rumore di uomini che si chiamavano a urlacci. George volse il capo e ascoltò le voci.
Lennie disse: "George?"
"Eh? "
"Non vai in bestia con me?"
"In bestia?"
"Si come facevi altre volte. Cosi: ‘Se io fossi solo, piglierei i miei cinquanta dollari…’ ."
"Sangue di dio, Lennie! Non ti ricordi quello che succede e ti ricordi, quello che dico, parola per parola."
"E allora, non vai in bestia?"
George si riscosse. Disse, senza espressione: "Se fossi solo, potrei vivere così bene." La sua voce era monotona, priva d'enfasi. "Potrei trovare un lavoro e non avere seccature." Tacque.
"Di' ancora," riprese Lennie. "E, arrivata la fine del mese; .. "
"E arrivata la fine del mese, prenderei i miei cinquanta dollari e via dentro … una casa… " Si fermò un'altra volta.
Lennie lo guardò fervidamente. "Di' ancora, George. Non vai più in bestia?"
"No," disse George.
"Allora posso andarmene," disse Lennie, "Andrò sulla collina e troverò una grotta, se non mi vuoi più."
George si riscosse uil'altra volta. "No," disse. "Voglio che tu stia qui con me."
Lennie disse con scaltrezza: "Allora dimmi come dicevi prima."
"Dimmi cosa?"
"Come sono gli altri e come siamo noi."
George disse: "Gente come noi non ha famiglia. Raccolgono una paga e poi la sprecano. Non hanno nessuno al mondo che gli importi di loro … "
"Ma noi no," gridò Lennie felice. "Di' come siamo noi, ora."
George tacque un istante. "Ma noi no," disse.
"Perché … "
"Perché io ho te e … "
"E io ho te, Ci siamo tutti e due, e c'importa qualcosa di noi, ecco perché," gridò Lennie trionfalmente.
La brezzolina spirava nella radura e le foglie stormivano e le rondicelle del vento trascorrevano sulla pozza verde. E di nuovo echeggiarono gli urli degli uomini, stavolta più vicini di prima.
George si tolse il cappello. Disse con voce malferma: "Posa il cappello, Lennie. Si sta bene all'arietta. "
Lennie si tolse il cappello, ubbidiente, e se lo posò davanti, per terra. L'ombra nella vallata era più azzurra e la sera cadeva rapida. Giunse loro sul vento un rumore di schianti dalla macchia.
Lennie disse: "Dimmi come sarà un giorno." George era stato in ascolto dei rumori lontani.
Per un istante apparve preoccupato. "Guarda verso l'altra riva, Lennie, e io te lo dirò, che ce l'avrai davanti agli occhi."
Lennie girò il capo e guardò di là dalla pozza e su per le coste oscurate dei Gabilan. "Avremo un pezzetto di terra," cominciò George. Ficcò la mano nella tasca della giacca e tirò fuori la Luger di Carlson; liberò di scatto la sicurezza, e posò mano e pistola per terra, dietro la schiena di Lennie. Guardò Lennie alla nuca, nel punto dove la spina e il cranio si congiungono.
Una voce d'uomo chiamò a monte del fiume, e un altro rispose.
"Di' ancora," fece Lennie.
George alzò la pistola e gli tremava la mano; lasciò ricadere la mano a terra.
"Di' ancora," disse Lennie. "Come sarà un giorno. Avremo un pezzetto di terra."
"Avremo una mucca," riprese George. "Forse avremo il maiale e le galline … e in fondo alla piana avremo… un pezzo di alfa.. "
"Per i conigli," urlò Lennie.
"Per i conigli," ripeté George.
"E io potrò accudire i conigli."
"Tu potrai accudire i conigli."
Lennie gongolò dalla felicità. "E vivremo del grasso della terra."
"Si. "
Lennie volse il capo.
"No, Lennie. Guarda laggiù verso l'altra riva, come se ce l'avessi davanti agli occhi."
Lennie obbedì. George abbassò lo sguardo alla pistola.
Vennero schianti di passi dalla macchia. George si volse e fissò gli occhi da quella parte.
"Di' ancora, George. Quando l'avremo?"
"L'avremo presto."
"lo e te."
"Tu… ed io. Tutti ti tratteranno bene. Non ci saranno più guai. Più nessuno farà del male agli altri o li deruberà."
Disse Lennie: "Credevo che ce l'avessi con me, George. "
"No," disse George. "No, Lennie. Non ce l'ho con te. Non ce l'ho mai avuta, e non ce l'ho ora. Voglio che tu lo sappia, Lennie."
Le voci s'accostavano sempre più. George sollevò la pistola e ascoltò quelle voci.
Lennie pregava: "Facciamolo subito. Andiamoci adesso in quel posto."
"Sta' certo, subito. Certo. Ci andremo."
E George alzò la pistola, la tenne ferma, e ne puntò la bocca proprio sotto la nuca di Lennie. La mano gli tremava orribilmente, ma il viso si distese e la mano si fermò. Premé il grilletto. Lo schianto del colpo echeggiò fra le colline e si spense rimbalzando. Lennie ebbe uno scossone e poi s'abbandonò innanzi adagio sulla sabbia, dove giacque senza un tremito.
George rabbrividì e guardò la pistola e la gettò lontano dietro, su per la sponda, presso il mucchio di cenere vecchia.
La macchia parve riempirsi di grida e dello scalpiccio di piedi in corsa. Scoppiò la voce di Slim:
"George. Dove siete, George?"
Ma George sedeva irrigidito sulla riva e si guardava la mano destra con cui aveva gettata la pistola. Il gruppo irruppe nella radura e CurIey era in testa. Vide Lennie disteso sulla sabbia. "Preso, perdio." Gli venne sopra e lo guardò, poi volse il capo a George. "Giusto dietro la testa," disse piano.
Slim venne direttamente alla volta di George e gli sedette accanto, si sedette stretto a lui. "Non bisogna pensarci," disse Slim. "Qualche volta bisogna far cosi."
Ma CarIson era in piedi davanti a George. "Come avete fatto?", chiese.
"L'ho fatto," rispose George straccamente.
"Aveva la mia pistola?"
"Si, aveva la vostra pistola."
"E voi gliel'avete portata via e l'avete presa e gli avete sparato?"
"Si, è stato cosi." La voce di George non era più che un sussurro. Si guardava fissamente la mano destra che aveva tenuto la pistola.
Slim tirò a George il gomito. "Venite, George. lo e voi, andremo a bere un bicchiere."
George si lasciò aiutare a rialzarsi. "Sicuro, un bicchiere. "
Disse Slim: "Dovevate, George: Vi giuro che dovevate. Venite con me." Guidò George allo sbocco del sentiero e oltre, verso lo stradale.
CurIey e CarIson li guardarono andarsene. E Carlsan disse: "Che cribbio hanno secondo voi quei due? "
(John Steinbeck, Uomini e topi, Bompiani, trad. Cesare Pavese).
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