Infatti il personaggio di Solomon Kane sembra fatto apposta per mettere in evidenza alcuni meccanismi narrativi, sia dal punto di vista della psicologia che della stessa costruzione narrativa e di formazione della suspense. Ci chiediamo: la letteratura e il cinema, in questo caso, parlano la stessa lingua? Il “canone”di Howard e di Basset è lo stesso? La risposta è decisamente “Sì!”. Vediamo perché.
Questo stesso film pone sul tappeto alcuni temi che riguardano il rapporto fra letteratura e cinematografia, aderenza del cinema alla tipologia letteraria, linee narrative cinematografiche e letterarie. Procediamo con ordine e cominciamo con lo stabilire alcuni confronti necessari per il nostro intento. Prima di tutto dobbiamo sapere che il personaggio di Solomon Kane non è uscito dalle tastiere degli scribacchini seriali ollivudiani, ma dalla stilografica di Robert Ervin Howard. A Howard viene attribuita la creazione del genere fantasy eroico ed è stato anche il creatore del personaggio di Conan. Howard crea la figura di Solomon Kane quando è ancora un liceale, ma pubblica il primo racconto nel 1929, all’età di ventiquattro anni. Oltre ad aver visto e smontato il film più volte, ho quindi anche letto tutta la saga di Kane che è composta anche da racconti postumi, poi rimaneggiati e completati dopo la sua morte. Non c’entra con la nostra trattazione, ma voglio ricordare che Howard è morto suicida nel 1936, all’età di soli trent’anni.
Dobbiamo prendere in considerazione le premesse del regista
Per svolgere la nostra trattazione dobbiamo partire da una curiosa affermazione del regista. Di solito non teniamo in nessun conto le intenzioni, le motivazioni, o le interpretazioni degli autori. Trattiamo un’opera per quello che è, a partire dalla sua natura e dalla sua struttura interna, per vedere che cosa ci può comunicare.
Tuttavia dobbiamo fare un’eccezione in questo caso. Lo facciamo per due motivi: il primo è che il film rappresenta una buona occasione per parlare di letteratura e di cinema e il secondo è perché ci permette di indagare e di mettere a confronto le strutture di due generi come la narrativa e il cinema.
L’affermazione da cui partiamo è la seguente:
L’intento del regista è quindi molto chiaro: contribuire in modo attivo alla costruzione del personaggio, rispettandone il canone che il regista ha anche molto amato. A questo proposito Basset ha creato una nuova storia. Ciò potrebbe porre un problema di “legittimità”: con quale diritto un regista si colloca come coautore di un personaggio letterario creato da uno scrittore? Con quale diritto può spacciare il “proprio” Solomon Kane con quello di Howard?
La risposta è: con tutti i diritti.
Infatti, a meno che non si ritenga che l’arte non conosca una “storia” temporale e che quindi ogni opera viva metafisicamente completamente avulsa da quelle che l’hanno preceduta, la ripresa di opere precedenti, il loro riutilizzo e la loro stessa rielaborazione, fondano il lavoro creativo e la sua ragion d’essere, che viene continuamente alimentata dagli autori e dalle opere antecedenti.
Però qui ci troviamo di fronte a qualcosa di più di una semplice ispirazione che prende spunto dai racconti di Howard. Si tratta della dichiarazione di Basset che afferma di essere stato fedele al personaggio, pur avendo inventato una storia del tutto nuova. La posizione di Basset è onesta nei confronti dello spettatore e dello stesso personaggio e, allo stesso tempo, carica di responsabilità nel momento in cui dichiara che il suo Solomon Kane è lo stesso di Howard.
Il canone Solomon
Dobbiamo allora esaminare il canone Solomon così come viene proposto nei racconti di Howard, per svolgere la nostra trattazione.
Dividiamo questa trattazione in due grandi filoni.
Con il primo mettiamo a confronto il Solomon Kane di Howard con il Solomon Kane di Basset e confrontiamo anche le rispettive strutture narrative. Con il secondo filone ci chiediamo se alcune importanti soluzioni che Basset introduce, possano al contempo soddisfare le esigenze interne della storia e del canone.
Un eroe impulsivo e coraggioso vestito di nero
Solomon è un puritano vestito di nero, alto e magro, molto muscoloso, determinato, convinto che la Provvidenza stia dalla sua parte, per combattere il male ovunque lo incontri. Viaggia senza una meta perché il suo perigrinare è guidato da Dio e, quindi, se lungo il cammino incontra il Male, in una qualche sembianza, è sicuramente per il fatto che lo deve estirpare e perciò il problema di che cosa Solomon debba fare non si pone nemmeno: deve combattere il male là dove lo incontra. Agendo in questo modo Solomon rischia, ovviamente, di farsi catturare. Per esempio, nel corso delle sue numerose avventure africane, nei pressi della Costa degli schiavi, incontra una fanciulla prigioniera di una popolazione di discendenti degli antichi Assiri. Solomon prova l’impulso di salvare la fanciulla, così, immediatamente e senza riflettere, scatena la battaglia, per la quale verrà fatto prigioniero. Riportiamo la descrizione di Howard, a significativa rappresentazione del canone:
“L’Inglese fu sopraffatto dalla pazzia! Poco gl’importava della propria vita: l’aveva già rischiata più volte, senza pensarci su, per salvare qualche bambino pagano, o qualche piccolo animale.
Eppure non avrebbe mai sprecato premeditatamente la sua unica occasione di poter soccorrere le miserabili vittime di quella carovana. Agì senza pensare: già la pistola gli fumava nella mano, e l’alto carnefice giaceva a terra nella polvere del sentiero mentre le cervella gli fuoruscivano dal cranio, prima che Kane si rendesse conto di quello che aveva fatto.” (I figli di Asshur, in: Robert Ervin Howard, Solomon Kane, A cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Trad. di Gianni Pilo, Prima edizione ebook: luglio 2010, Newton Compton editori s.r.l., Roma, ISBN 978-88-541-2302-1)
Nel racconto Il castello del diavolo, Solomon sta attraversando la Foresta nera quando salva la vita a un giovane ragazzo appena impiccato e viene a conoscenza dei soprusi praticati da un barone proprietario di un certo castello. Allora prova l’impulso di agire:
«È un castello che comincerete a conoscere più a fondo se non ci affrettiamo», rispose Silent cupo. «Quella è la fortezza del barone von Staler, le cui forche avete derubato del condannato, e che è il più potente Signore della Foresta Nera. Qui passa il sentiero che porta su per la collina fino alla sua porta, e questa invece è la strada che prenderemo noi: quella che ci porterà più velocemente lontano dalle grinfie del Barone.»
«Credo che quello sia il castello di cui mi hanno parlato i contadini», mormorò Kane. «Lo chiamano con un nome sinistro: il Castello del Diavolo. Venite: dobbiamo indagare su questa faccenda.»
«Volete andare al castello?», gridò Silent, squadrandolo incredulo.
Kane sospirò.
«Mi è toccato di tanto in tanto, durante il mio errare per il mondo, di correggere i mali che affliggono le vite degli uomini. Credo che tale evenienza si ripeterà a proposito di questo Barone.» (Il castello del diavolo, in: Robert Ervin Howard, Solomon Kane, A cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Trad. di Gianni Pilo, Prima edizione ebook: luglio 2010, Newton Compton editori s.r.l., Roma, ISBN 978-88-541-2302-1).
L’impulsività e il coraggio di Solomon appaiono fin dal primo racconto, pubblicato nel 1929, Teschi sulle stelle. Di fronte due strade, una infestata da mostri e pericoli e una più tranquilla, quale sceglierà Solomon?:
«Signore», disse il ragazzo, abbassando la voce e accostandosi all’uomo, «noi siamo semplici contadini, e non ci piace parlare di certe cose, per paura che la cattiva sorte ci perseguiti, ma la strada della brughiera è maledetta e da oltre un anno nessuno della zona la percorre più. Andare nella brughiera di notte è la morte, e lo hanno scoperto decine di disgraziati. Un mostro micidiale è presente in quel luogo e fa degli uomini le sue vittime.»
«Davvero? E di che si tratta?»
«Nessuno lo sa. Chi l’ha visto non è sopravvissuto, ma taluni nottambuli hanno udito risate terribili in punti lontani della palude e le urla spaventose delle vittime. Signore, in nome di Dio, torni al villaggio, pernotti là, e domani prenda la via della palude di Yorktown.»
Nel fondo degli occhi di Kane era spuntata una luce scintillante, come una fiaccola sotto strati di freddo ghiaccio grigio. Il sangue gli corse più veloce nelle vene. Avventura! Il richiamo della vita e della battaglia! Il brivido del dramma mozzafiato, misterioso! Non che Kane accettasse le sue sensazioni come tali. Egli pensava sinceramente di esprimere i suoi veri sentimenti quando disse:
«Queste cose sono frutto di qualche potenza del Male. I Signori delle Tenebre hanno lanciato una maledizione sul paese. Occorre un uomo forte per combattere Satana e il suo potere. Perciò vado io, che l’ho sfidato molte volte».
«Signore», cominciò il ragazzo; poi chiuse la bocca vedendo l’inutilità di discutere. Aggiunse soltanto: «I cadaveri delle vittime sono stritolati e fatti a pezzi, signore».
Il ragazzo rimase fermo al crocevia, sospirando con rammarico mentre guardava la figura alta e slanciata imboccare la via che portava alla brughiera.” (Teschi sulle stelle, in: Robert Ervin Howard, Solomon Kane, A cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Trad. di Gianni Pilo, Prima edizione ebook: luglio 2010, Newton Compton editori s.r.l., Roma, ISBN 978-88-541-2302-1).
Solomon è dunque impulsivo e molto coraggioso e questo suo coraggio è un’arma formidabile che destabilizza l’avversario e gli permette di guadagnarsi rispetto e nuovi alleati. Howard lo rappresenta in questo modo:
“Così, sopra il corpo martoriato del morto, l’uomo lottò contro il Demone sotto la luce della pallida luna; il Demone aveva tutti i vantaggi, tranne uno. E quell’uno fu sufficiente per vincere tutti gli altri. Perché, se l’odio astratto può trasformare in sostanza materiale un’essenza spettrale, non può il coraggio, ugualmente astratto, costituire un’arma concreta per combattere gli spettri? (…) Infatti la sola arma dell’uomo è il coraggio che non indietreggia neppure davanti alle porte dell’Inferno, e contro di esso non resistono intere legioni di Demoni. ” (Teschi sulle stelle, in: Robert Ervin Howard, Solomon Kane, A cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Trad. di Gianni Pilo, Prima edizione ebook: luglio 2010, Newton Compton editori s.r.l., Roma, ISBN 978-88-541-2302-1).
Al coraggio di Kane si aggiunge un radicato sentimento di vendetta. La vendetta è quel sentimento che traccia un confine fra l’eroe puro, buono, e l’eroe, sempre positivo, ma che presenta un lato oscuro, insondabile. La vendetta è quel sentimento che apre le porte a comportamenti irrazionali e passionali, che possono anche sfociare in una brutalità malvagia. La vendetta pone l’uomo che la prova sotto il controllo di un istinto che può diventare cieco e condurlo su strade poco limpide. In nessun racconto di Kane questo suo impulso vendicativo lo porterà a macchiarsi di azioni malvagie. Però esiste il timore, proprio a causa di questo istinto vendicativo e della impulsività di Solomon, che l’eroe possa essere condotto lontano dal terreno, eticamente delimitato, di combattere il male. Questo pericolo si avverte sovente nella lettura delle sue storie e, fra l’altro, è molto funzionale per la costruzione della suspense e per contribuire a rendere interessante il personaggio.
Per esempio, nel racconto Le lame della fratellanza, la teoria della vendetta di Solomon Kane, è perfettamente enunciata:
E che questa vendetta sia la ragione stessa di una missione che Solomon non potrebbe spiegare, è altrettanto evidente:
Il “lato oscuro” dell’eroe
Avrete notato che il passo precedente, tratto da Le lame della fratellanza, presenta un’affermazione molto importante. Solomon dice che forse cerca: “la salvezza della mia anima”. Dobbiamo quindi mettere in luce questo aspetto nascosto dell’eroe Solomon: possiede davvero un “lato oscuro”? Nutre dei sensi di colpa per eventi poco chiari che lo hanno contraddistinto nel passato? In effetti, un eroe vestito di nero, puritano, coraggioso, impulsivo, convinto di avere la Provvidenza dalla sua parte, combattente cinico che non risparmia il nemico e, come abbiamo visto, perfino vendicativo e fanatico, è anche inquietante allo stesso tempo, sembra proprio essere condizionato da una sorta di “lato oscuro”. Ciò che separa quest’uomo dal Male non sono i mezzi che utilizza, dato che quando ne può disporre impiega anche la magia stessa; e neppure l’intensità della violenza o la determinazione con cui l’applica, che sono pari a quelle del Male, ma è semplicemente il fatto che Solomon sta dalla parte dei giusti, del bene. In questo senso Solomon sembra il classico eroe Noir travagliato da un passato inquinato da riscattare, o con il quale fare i conti. Tuttavia, il suo “lato oscuro” non viene mai menzionato da Howard. In nessun punto dei suoi racconti Howard accennerà mai alle origini e alla storia di Solomon, né risulta che avrebbe mai avuto intenzione di parlarne. Il lato oscuro di Solomon esiste, è un elemento che tiene viva la suspense, ma non verrà mai chiarito (e anche per questo è molto funzionale per la stessa suspense). Ciò è evidente fin dal secondo racconto, Ombre rosse, pubblicato postumo:
«Per tutti i Santi e tutti i Demoni!», ringhiò il Lupo. «Che aspetto ha, questo Kane?» «Sembra… Satana…», disse l’uomo con un filo di voce che subito cessò.»
Solomon sembra Satana perché, come Satana, è animato da odio, sete di vendetta, ignora il fine delle sue azioni, se non che “deve” combattere il Male come se eseguisse una volontà imperscrutabile, esattamente come Satana segue un disegno più grande di lui, assolvendo il compito di incarnare il Male (e quindi di giustificare l’esistenza di Dio e delle creature celesti).
«Perché mi avete seguito così da presso? Non capisco.» «Perché tu sei il malfattore che dovrò uccidere, affinché il destino si compia», rispose freddamente Kane.
Lui non sapeva il perché. Per tutta la vita aveva vagato per il mondo aiutando i deboli e lottando contro l’oppressione. Non ne sapeva il motivo e non se lo chiedeva: era la sua ossessione, la forza vitale che lo guidava. La crudeltà e la tirannia esercitata contro i deboli lo faceva ardere della rossa fiamma di una furia feroce e duratura. Quando la grande fiamma del suo odio si accendeva e veniva liberata, lui non aveva pace finché la sua vendetta non era del tutto compiuta. A pensarci bene, lo si poteva considerare un esecutore del giudizio di Dio, uno strumento dell’ira divina pronta a scatenarsi contro le anime empie. Eppure Solomon Kane non era un puritano nel vero senso della parola, benché si considerasse tale.» (Ombre rosse, in: Robert Ervin Howard, Solomon Kane, A cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Trad. di Gianni Pilo, Prima edizione ebook: luglio 2010, Newton Compton editori s.r.l., Roma, ISBN 978-88-541-2302-1)
A completamento di questo quadro, aggiungiamo il fatto che nei racconti di Howard, Solomon viene assalito e dominato anche da un odio profondo, esattamente come i demoni che combatte, un odio che si manifesta soprattutto nel corso dei combattimenti o mentre osserva il compimento di una ingiustizia.
Il film, una storia creata sulla base del canone
A questo punto, avendone evidenziate le caratteristiche, possiamo affermare che il film di Basset, come era nelle sue stesse intenzioni, è fedele al “canone Solomon”. Nel film si delinea la medesima caratterizzazione: Solomon appare subito come un violento, fanatico, il cui confine fra bene e male appare incerto. Solomon non fugge davanti a nulla ed è determinato tanto quanto il suo nemico e, tanto quanto i demoni che combatte, è pronto a infliggere le stesse sofferenze senza farsi prendere da alcun rimorso, né da alcuna esitazione o pietà. Riprendiamo quella sottile distinzione fra Satana e Solomon, fra Bene e Male che abbiamo visto nelle storie di Howard. Anche nel film di Basset si ripropone lo stesso messaggio. Infatti, fin dalle prime battute sentiamo affermare dal nostro eroe: “L’unico vero diavolo sono io qui!” e poi, un demone gli dice: “Non puoi sfuggire, Solomon, la tua anima è dannata!”.
Nel suo film Basset ha creato una storia nuova, di sana pianta, pretendendo di rimanere fedele al canone.
È davvero così, a parte i tratti generali che sembrano coincidere? Le storie ideate per il film sono plausibili?
Basset si avventura là dove Howard è stato reticente: nel passato e nella storia di Kane e noi ci chiediamo se sia un’operazione riuscita, che si inserisce nel canone come i tasselli di un puzzle.
Nel film, dopo il titanico scontro iniziale, che avviene in Africa (molte avventure scritte da Howard sono ambientate in Africa), Solomon decide di rinunciare alla violenza e per questo trascorrerà un lungo periodo in convento dove diventa un “uomo di pace”. Se Solomon fosse stato il classico eroe bianco e buono, l’operazione sarebbe riuscita certamente perché una decisione imputabile alla volontà di un eroe senza macchia, avrebbe implicato il controllo sul personaggio. Solo un fatto eccezionale, e perfettamente giustificato, avrebbe potuto rimettere in marcia l’eroe, fargli abbandonare il convento nel quale è diventato uomo di pace. Però il canone Solomon non è quello dell’eroe bianco e puro, ma di un fanatico vestito di nero, in missione per conto di Dio, che appare ai suoi nemici pericoloso come Satana in persona. Lavare le macchie, la redenzione dell’eroe, la sua “ripulitura”, non riguarda solo la sua coscienza, ma la sua stessa natura, cioè il suo passato, che noi non conosciamo. Per quanto Solomon desideri realmente, e ci riesca, a rieducarsi a una rinuncia completa alla violenza e riesca effettivamente a compiere un passaggio dal canone di un eroe “noir” a quello di un eroe casto e puro, dato che questo passaggio è posto solo sotto il controllo della sua coscienza, e dato che la natura di Solomon non dipende esclusivamente da essa, ma anche da quel suo lato “oscuro” e imperscrutabile, ecco che la forza di volontà e la coscienza di Solomon non sono sufficienti per compiere completamente questa trasformazione.
In ciò il film è molto preciso e corretto e, pur all’interno di una nuova storia, aderisce e porta avanti esattamente le linee guida del canone Solomon. Infatti che cosa avviene nel film? Che l’abate del convento a un certo punto, dopo aver accolto, curato, insegnato a Solomon la meditazione e la purificazione interiore, gli chiede di andarsene, di lasciare il convento.
Ragioniamo.
Se Solomon fosse stato il classico eroe bianco e puro, nessuno gli avrebbe chiesto un tale sacrificio, né lui se ne sarebbe mai andato dal convento senza un gravissimo motivo, senza una vera e propria tragedia di fronte alla quale avrebbe dovuto riprendere le armi e la lotta. Ma a Solomon viene chiesto di andarsene, senza necessariamente riprendere le armi e senza un nemico da combattere. Lui, che ora è “uomo di pace”, deve lasciare il convento perché l’abate glielo chiede, anzi, lo impone.
Per quale motivo l’abate impone a Solomon di lasciare il convento?
Perché è la natura stessa di Solomon ad attirare i pericoli. Solomon è diventato uomo di pace razionalmente, ma non è cambiata la sua natura. La persistenza di questo lato oscuro determina un possibile aggancio con le forze del Male che, prima o poi, si ripresenteranno là dove lui si troverà, per avere la sua anima “dannata”. E il male può rivendicare l’anima di Solomon perché il suo lato oscuro mantiene aperte delle questioni non risolte, tratteggia un confine molto incerto con il male. Detto in altri termini: Solomon si porta appresso una colpa per un qualche delitto commesso nel passato, forse dimenticato, ma che tiene aperta la porta verso il male. Una porta che, prima o poi, i Demoni varcheranno e utilizzeranno per cercare di conquistare l’anima di Solomon, trasformandolo da eroe del bene a spada al servizio del male.
L’abate comprende benissimo tutto ciò – ma non lo comprende Solomon, che giudica inspiegabile l’ordine impartito dall’abate – e perciò invita Solomon ad abbandonare il convento. Il male è in Solomon.
Questo episodio, inventato da Basset, è geniale, anche se si tratta pur sempre di richiamarsi a degli stereotipi (la meditazione dell’eroe, il convento, l’allontanamento, ecc.), perché permette al film di rimanere fedele al canone e, allo stesso tempo, di aprire una strada narrativa interessante che presenta numerose opportunità, che saranno poi perfettamente colte.
In altre parole, Basset riprende per proprio conto quell’aspetto oscuro di Solomon presente nei racconti di Howard, lo esalta, ma senza inutili eccessi, in modo molto sottile e moderato per lo spettatore, e lo utilizza per compiere due operazioni narrative precise ed essenziali.
La prima consiste nel portare avanti la storia con una serie di episodi e di conflitti, anche etici, che rendono complesso e interessante un personaggio come Solomon, che il pubblico di genere è comunque abituato a vedere e per il quale non rappresenta una novità. La seconda consiste nel trovare una soluzione a ciò che Howard aveva lasciato insoluto: il passato di Solomon Kane.
A questo proposito dovremo vedere anche se si tratta, da parte di Basset, di un’operazione legittima.
Il conflitto è espresso in modo corretto
Dunque Solomon deve lasciare il convento da “uomo di pace”, senza che alcun pericolo lo minacci e senza che alcun pensiero lo turbi e decide di fare ritorno nella sua vecchia casa dell’infanzia. Questo allontanamento, per certi versi è “inspiegabile” ai suoi stessi occhi – e quindi agli occhi del pubblico – e non determina alcun motivo per cui debba abbandonare i propositi di abiurare alla violenza. È allora chiaro che sarà proprio questa sua fedeltà etica ad essere messa alla prova e a fornire le prime nuove avventure al film. L’operazione non è così semplice come può sembrare, perché è facile uscire dal canone per abbracciare strade collaterali, per esempio di simpatia nei confronti di un personaggio che potrebbe risultare eccessivamente buonista o eccessivamente vendicativo. La prima prova è data dall’incontro con un gruppo d banditi che lo picchiano selvaggiamente. Solomon non reagisce, rimane fedele ai suoi nuovi principi. Fin qui tutto bene e giusto. Quindi viene salvato e curato da un gruppo di pellegrini che stanno attraversando il territorio per intraprendere un lungo viaggio verso il Nuovo Mondo. Solomon non parla del suo passato violento ma, durante la permanenza con questa famiglia, a tratti ne vengono fuori degli elementi, che mostrano chiaramente la sofferta decisione di Solomon e la sua sincera volontà di purificare la propria anima. È a questo punto che Solomon viene messo alla prova per la seconda volta. Una prova decisiva.
Lui e questa famiglia stanno attraversando la terra di un barone violento e terribile che trasforma in schiavi i suoi abitanti, li seppellisce vivi, li uccide seviziandoli con il suo esercito di assassini misteriosi e prezzolati che controlla completamente. A un certo punto si imbattono proprio in questi loschi figuri. La questione decisiva, da un punto di vista narrativo, è la seguente: in quale punto e in seguito a quale momento di questo incontro fra “buoni” e “cattivi” è meglio che si verifichi il cambiamento che porta Solomon a impugnare nuovamente le armi per vendicarsi? Naturalmente bisogna dare per scontato il fatto che Solomon torni alla violenza rinunciando ai suoi propositi.
Sarebbe stata possibile anche un’altra scelta? Certamente, Solomon avrebbe potuto continuare a rinunciare a combattere, reagendo con altri sistemi, per esempio con l’astuzia, l’organizzazione, la politica, ecc. Forse la storia sarebbe stata più interessante? Forse, in ogni caso sarebbe stata più originale e avrebbe determinato il fatto che, avendo il pubblico esperienza di situazioni in cui l’eroe sarebbe tornato a combattere, si sarebbe aspettato questa svolta la quale, non arrivando mai, avrebbe potuto abilmente fornire un motivo di continua suspense. Questo sarebbe stato un gioco narrativo molto complicato e assai stimolante, fatto di tanti dettagli (prende la spada o non la prende? Reagisce o non reagisce? Salva il vecchio o no? Dà fuoco alla miccia o no? ecc. ecc.). Però Basset non avrebbe mai potuto imboccare questa strada perché, non dimentichiamolo, il suo intento non era di creare una qualsiasi storia di spade e di streghe, ma di portare sullo schermo una nuova storia fedele al canone stabilito da Howard. E il canone prevede che uno come Solomon non sia capace di stare fuori dalla lotta a lungo, a meno che non trascorra tutta la vita in un convento. Ma da un convento era appena stato buttato fuori!
Dunque la questione centrale del film, il punto determinante della storia, il suo architrave, non riguarda la scelta di Solomon, ma il particolare: quando e come questa scelta sarà praticata?
In questo punto delicato Basset si dimostra un narratore arguto e fedele al canone. Quando la famiglia si imbatte in quei brutti ceffi al servizio del barone, deve avvenire l’evento che porta Solomon a impugnare di nuovo la spada. Quale evento, esattamente?
Ragioniamo. Abbiamo una famiglia di quattro persone, padre, madre, figlia, fratello minore. La morte del vecchio non sarebbe sufficiente. Anche se fosse torturato e scuoiato vivo, non basterebbe per spingere l’eroe ad imbracciare le armi. Il padre ha la sua età, ha vissuto, è un uomo che difende la famiglia e che quindi può benissimo rischiare la vita e perderla senza che questo possa suscitare chissà quali indignazioni. La ragazza può essere utile per il seguito della storia: lei e Kane potrebbero aprire quella prospettiva che offrirebbe un lieto fine a una storia che si annuncia sanguinaria. O, più semplicemente, lei potrebbe essere il mezzo per giungere alla stessa redenzione di Solomon Kane. Giustamente nel film Meredith verrà picchiata, torturata, rapita, incarcerata, ma non uccisa. Lei sarà il premio per Kane? Come vedremo è proprio quello che lo spettatore è indotto a pensare, ma la regola dei rapporti fra Solomon e le ragazze da lui salvate è molto precisa e ne parleremo più avanti.
La madre della ragazza? La morte della madre potrebbe suscitare rabbia, è una donna, deve essere protetta, potrebbe Kane lasciarla morire? Si, perché il sacrificio fa parte del suo ruolo di madre. Dunque non può essere lei a determinare l’entrata in guerra di Solomon. E dato che la sua morte, a questo punto, sarebbe inutile, viene lasciata viva. Mantenere viva la madre ha il vantaggio di rafforzare un ramo secondario della narrazione, che sarà portato avanti alla fine del film, quando Meredith, potendo tornare da sua madre, non verrà lasciata a se stessa.
Resta il bambino. Una sua eventuale uccisione sarebbe emotivamente forte, quindi Solomon non dovrebbe entrare in guerra per difendere il bambino? Certamente, ma in quale momento si deve verificare la reazione di Solomon che tutti si aspettano? Ipotizziamo delle scene: mentre il bambino scappa? mentre viene catturato? mentre viene torturato? mentre è sotto minaccia di morte? mentre viene ferito e necessita di cure urgenti? Quando, esattamente?
Nel film non c’è niente di tutto questo. La scelta può sembrare forte e azzardata ma è logica sul piano narrativo e fedele al canone. Vediamo di che cosa si tratta.
Il bambino viene catturato, è di fronte a Kane con un coltello alla gola. Solomon non interviene, anche se viene provocato ed è chiaro il suo dilemma. E il bambino viene ucciso senza che Solomon agisca, gli viene tagliata la gola sotto lo sguardo della madre e della sorella e Solomon non fa nulla per evitare la tragedia, per rimanere fedele al suo voto.
È questa la scelta narrativamente più corretta e fedele al canone, anche se “politicamente scorretta”. Solomon interviene solo dopo la morte del bambino, non entra in azione per salvarlo. La madre viene abbandonata al suo destino e la ragazza verrà rapita e chiusa in gabbia dagli assassini. La vita del bambino non è dunque stata risparmiata, il pubblico è stato colpito dalla sua tragica fine per sgozzamento. Non è una scelta buonista e risulta perfettamente funzionale alla storia e al canone. Alla storia perché Solomon sembra commettere un nuovo errore, mostra di nuovo il suo lato oscuro e, allo stesso tempo, manifesta tutta l’importanza del suo voto pacifista e del conflitto interno, rendendolo un personaggio che ha un certo spessore, seppur in un film di genere, che poggia sui noti stereotipi. Inoltre apre la strada alla suspense: infatti se si lascia morire così un bambino, per il seguito ci si può aspettare di tutto… Ma, soprattutto, Basset rimane fedele al canone, che è una delle questioni importanti per le nostre analisi.
Il rafforzamento di una motivazione
Qualcosa di simile era stato raccontato da Howard in Le ali notturne. In quel racconto Solomon non riesce a salvare un villaggio di 400 persone dal flagello di arpie carnivore che si abbatte dal cielo, esattamente come non è riuscito a salvare il bambino dagli assassini demoniaci. In Le ali notturne, Kane riflette: “Ebbene, forse non ho saputo salvare gli abitanti di Bogonda ma, per il Dio della mia razza, posso vendicarli”. Nel film Basset mette in moto lo stesso meccanismo. Là si compie il sacrificio di un villaggio, qui si compie il sacrificio di un bambino, in entrambi casi Solomon se ne fa una colpa e mette in moto la vendetta. Questo meccanismo narrativo è rispettato da Basset che, lasciando morire un bambino che si era molto affezionato a Solomon, sotto gli occhi stessi di Solomon, evita un buonismo di cui le storie di Solomon sono assolutamente prive.
Non è solo una questione di vendetta. Qui Basset compie una leggera deviazione dal canone. Forse Basset non è convinto che, da un punto d vista filmico, la vendetta possa reggere come unica motivazione che spinge Solomon all’azione. In effetti nei racconti di Howard queste motivazioni sono dettate puramente dalla vendetta e dall’impulsività di Solomon e, in tal senso, sono esplicite e chiare, come abbiamo anche visto, mentre risulta probabilmente più difficile far comprendere allo spettatore cinematografico che Solomon sarebbe portato a liberare la ragazza solo come vendetta nei confronti degli assassini demoniaci. È dunque qui che Basset aggiunge qualche cosa, che opera una piccola, ma significativa, deviazione dal canone: nel film si vede che, in punto di morte, il padre di Meredith svela a Solomon che la sua anima si sarebbe salvata, se avesse tratto in salvo la ragazza.
In pratica il padre di Meredith assegna un compito preciso a Solomon. Per la prima volta nelle storie di Solomon Kane egli riceve dunque una consegna. Non è un imperativo, certamente. Però è un chiaro incentivo a compiere una data missione. Non si tratta di un inganno, vedremo che salvando la ragazza, Solomon salva la propria anima. Ma, certo, è una consegna che, per la prima volta, come abbiamo potuto vedere all’inizio della trattazione del canone Solomon, non proviene dall’interno dell’eroe, senza alcuna motivazione concreta. Proviene invece dall’esterno e appare chiara e inequivocabile nella sua enunciazione.
Per concludere questa parte, dobbiamo anche rilevare che le ambientazioni del film riprendono molto fedelmente quelle dei racconti di Howard. La terra che attraversa Solomon è cosparsa di cadaveri e impiccati, come nel racconto Il castello del diavolo, dove Solomon salva la vita a un ragazzo che è stato appeso. Nello stesso racconto compie un viaggio con un pellegrino che vuole imbarcarsi e nel film incontra una famiglia di pellegrini diretta a un imbarco, viaggerà per un po’ con loro, fino alla tragedia. Nello stesso racconto il barone è una figura demoniaca che vive in un castello isolato dal quale governa dispoticamente la regione, esattamente come nel film.
Il passato dell’eroe
A questo punto si aprono alla storia numerose prospettive. A parte quella scontata che vede l’eroe combattere e vincere contro mostri terribili governati da un demone che si impadronisce dei cervelli delle persone che cattura, il filone più interessante riguarda la ricostruzione del passato di Solomon.
Ci eravamo chiesti se fosse giusto, corretto, legittimo, in qualche modo, che Basset aggiungesse al film la vicenda delle “origini” di Solomon, un argomento di cui Howard non si era mai occupato e sul quale non ha mai fatto neppure un semplice accenno. È legittimo che un autore di film aggiunga, ricreandolo da zero, ciò che l’autore vero e proprio di Solomon e del suo canone, ha sempre ignorato?
In questo caso direi proprio di si, e l’operazione, come vedremo, è anche riuscita, nel senso che è plausibile e perfettamente collocata all’interno del canone.
Lo svelamento del passato di Kane viene compiuto un po’ per volta attraverso una serie di flashback. Il primo è nel corso del pestaggio che subisce quando lascia il convento. In una condizione di coma e semi coscienza, appaiono a Kane le vicende che ha vissuto da ragazzo.
Il fatto che i ricordi riemergano attraverso i flashback è interessante perché è come se Solomon avesse perso da tempo la propria coscienza e ora, un po’ per volta, questa riaffiorasse, mostrando anche a lui stesso le ragioni per cui è diventato Solomon Kane. Si mostra, cioè, in questo modo, la ragione della formazione di quel “lato oscuro” che sembra rendere Solomon colpevole quasi quanto i suoi nemici.
Colpevole di che cosa? Che cosa è successo nella vita di Solomon?
Basset fa molto bene a inventare un’origine per Solomon, tanto più che la storia è plausibile e fedele al canone. Eccola nella sua integrità.
Si scopre che Solomon è figlio di un potente e ricco barone feudale. Da ragazzo Solomon avverte il padre che è un errore affidare il potere al fratello Marcus. Marcus è un violento, dice apertamente Solomon al padre e non è adatto a governare. A causa di questa posizione esplicita, Solomon viene allontanato dal castello, ormai il padre è sotto l’influenza di Marcus. Quindi, il giovane Solomon, viene allontanato dalla casa paterna, per volotà di suo fratello. Un secondo ricordo che riemerge, riguarda un successivo incontro con Marcus. Solomon sta vagando sui prati in prossimità di promontori e fiordi quando trova suo fratello che cerca di violentare una ragazza. Solomon si oppone e Marcus precipita dalla scogliera. Dunque Solomon pensa di essere responsabile della morte di suo fratello! Ecco la colpa che si porta appresso e che giustifica le caratteristiche del personaggio delineate da Howard, il suo inventore.
Da un punto di vista narrativo è chiaro che sarebbero potute accadere diverse altre alternative per giustificare le specifiche caratteristiche di Solomon. La scelta di un conflitto famigliare ha il vantaggio che permette di dare alla storia un senso preciso che ne giustifica sia l’inizio che la fine. Sull’inizio possiamo dire che il senso di colpa che Solomon si porta appresso è chiaramente legato alla morte del fratello e rappresenta la parte dell’eroe che lo avvicina alle forze del male. L’assassinio, seppur di un violento come Marcus, rappresenta il passaggio di Solomon dal cristallino campo dei buoni a un campo un po’ meno cristallino… Per questa ragione i demoni possono pretendere l’anima di Solomon: un altro suo errore ed egli sarà perduto!
Il sentimento che lo porta ad alimentare la sua perenne vendetta, tipico sentimento del canone Solomon, deriva invece dalla cacciata dalla casa paterna. Essendo un eroe, Solomon non può vendicarsi nei confronti del padre e del fratello (infatti si sente in colpa per la morte di Marcus). Il suo bisogno di vendetta diventa quindi universale: psicologicamente deve spostarsi dal padre e dal fratello per rivolgersi contro il Male in genere, ovunque si manifesti.
Infine, la terza giustificazione fornita dall’invenzione di Basset, riguarda un filone secondario, ma interessante. Sia nei libri di Howard che nel film, Solomon non può resistere al richiamo di salvare le ragazze in pericolo. Sono diversi i racconti in cui egli si erge a paladino di ragazze che rischiano la vita. Nessuna di queste diventerà sua moglie e nessun salvataggio mostrerà il benché minimo interesse affettivo, o erotico, da parte di un Solomon completamente indifferente al fascino femminile e tutto votato a compiere le sue missioni. Per esempio, è emblematico il fatto che ne La luna dei teschi, Solomon si spinga alla ricerca di una ragazza scomparsa dalla Gran Bretagna, che ritroverà addirittura in Africa nera, dopo anni di inseguimenti, prigioniera di una popolazione erede, degenerata, dell’antica Atlantide. Riflettiamo: alle origini Solomon non aveva forse cercato di salvare una fanciulla dai violenti abusi di suo fratello Marcus? Questo tentativo non aveva determinato la morte del fratello? Bene, la coazione a ripetere le azioni di soccorso nei confronti di ragazze rapite, scomparse, uccise, rappresenta un tentativo di lenire il suo senso di colpa nei confronti della morte del fratello. Solomon il puritano spadaccino ed eroe di Dio è quindi un travagliato personaggio che custodisce le proprie inconsce motivazioni, che lo spingono all’azione.
La soluzione proposta dal film di Basset è dunque fedele al canone e, allo stesso tempo, rende la vicenda interessante e dotata di una certa suspense, sempre considerando che si tratta di storie di genere, che quindi rappresentano e utilizzano diversi stereotipi noti al pubblico.
L’eroe torna alla purezza originaria
Se la storia si concludesse con l’aver trovato una compagna, allora avremmo un Solomon che ritrova sicuramente il proprio passato, ma che non si riconcilia con esso e quindi dovrebbe riprendere il suo perenne errare di espiazione e di lotta nel quale, difficilmente, potrebbe esserci il posto per una soluzione affettiva. Il salvataggio di Meredith quindi, come in effetti sarà, non ha nulla a che vedere con la classica ricompensa affettiva dell’eroe. Alla fine del film Meredith sarà salvata e farà ritorno da sua madre. Viene rispettato il canone dei rapporti fra Solomon e le donne da lui salvate e si evita una soluzione narrativa che appare scontata. Anzi, lo spettatore se la sarebbe aspettata questa soluzione, fin dal famoso annuncio del padre di Meredith in punto di morte. Così la storia di Basset, intelligentemente, gioca con le aspettative del pubblico: invita il pubblico ad aspettarsi uno stereotipo (la ragazza come ricompensa) e invece si ritrova con il canone creato da Howard.
Ci sono anche alcune vicende collaterali, comunque interessanti, che riprendono o si richiamano in qualche modo alle storie di Howard. Per esempio l’incontro in una taverna con due ex compagni d’arme che poi convinceranno a reagire un Solomon Kane demoralizzato e lo aiuteranno quando verrà addirittura catturato e crocifisso, in una sequenza drammatica molto ben costruita. Proprio in quella sequenza la reazione di Kane si scatena di fronte alla vista della ragazza trascinata all’interno di una gabbia. In effetti lo scoramento d Solomon era determinato dal fatto di aver dato Meredith per scomparsa, morta.
Si vede che Basset è un appassionato del personaggio, che conosce molto bene. Di fronte all’opera incompiuta di Howard, il suo ammiratore, coltivando ancora la propria incontaminata fascinazione, vorrebbe dare a Solomon, dopo la costruzione di una serie di intense avventure, una “fine” – non nel senso di morte – degna al suo eroe.
Bene, come si conclude quindi il film? Sarà accettabile la conclusione proposta, alla luce dei discorsi fin qui fatti, sia sul piano narrativo, che riferiti al canone?
Solom giunge infine al castello della sua famiglia sapendo che è dominato dallo stregone Malachia e dal Razziatore Mascherato, che comanda l’esercito di Malachia grazie a poteri mentali. All’interno del castello Solomon scopre le segrete dove sono rinchiusi decine di prigionieri torturati e deperiti che, ovviamente, libera. In una cella c’è un vecchio in fin di vita. Quel vecchio è il padre di Solomon. Solomon si scusa ancora per la morte del fratello, mostrando la propria colpa al padre, che gli racconta, però, come siano andate realmente le cose dopo la cacciata del figlio. Purtroppo, spiega il padre, Marcus non muore, altrimenti non sarebbero accadute tutte queste disgrazie. Marcus, rimane invece in coma e sfigurato e così egli chiama in aiuto lo stregone Malachia che, grazie alla magia, strappa dal coma Marcus e lo rende suo schiavo. Malachia, in combutta con il diavolo, prende dunque il potere, rinchiude il padre in cella e sottomette completamente lo stesso Marcus, che diventa il Razziatore Mascherato.
Dopo aver raccontato queste vicende a Solomon, il vecchio invoca la morte, non solo perché deve estirpare le proprie colpe, ma anche perché lo stregone conserva il suo potere solo mantenendo in vita il vecchio padrone del castello: “Finché sarò vivo egli rimarrà, non mi lascerà mai morire!”. Al di là delle motivazioni trovate in questo caso, fra la morte del vecchio e il potere di Malachia, che forse andavano un po’ rafforzate, mettere Solomon nella condizione di uccidere il padre rappresenta una scelta non scontata e una nuova prova per Solomon. Anche se Howard non ha mai fatto riferimento alla famiglia dell’eroe, da ciò che abbiamo esaminato è chiaro che Solomon ha tutte le caratteristiche per assumersi le responsabilità di questo compito.
La storia dunque si conclude con la liberazione della ragazza e con la redenzione di Solomon, come era stato annunciato dal padre di Meredith: se avesse salvato la ragazza nessun diavolo avrebbe potuto rivendicare l’anima di Solomon. Per salavate la ragazza, prigioniera d Malachia, Solomon deve affrontare e liquidare il suo passato, uccidendo il padre e il fratello oltre che, ovviamente, Malachia stesso.
Fine di un canone?
Nella sua conclusione la storia creata da Basset rappresenta una vera scommessa.
Infatti Howard non aveva mai accennato ad alcuna conclusione del personaggio, né aveva mai toccato il tema della sua biografia. Basset, invece, crea un inizio e anche una fine: il personaggio Solomon entra nella storia seguendo il canone con grande rigore, ma alla fine ne esce perché il suo lato oscuro, i punti fermi della sua personalità, sono ripuliti. Il nucleo delle caratteristiche strutturali che formano il canone di Howard e che hanno dato vita al film non potranno più essere rappresentati come prima nelle storie che avranno un seguito (non in quelle che si riferiranno ad avventure precedenti a questa). A meno che non si creino degli artifizi narrativi che riportino Solomon ad analoghe condizioni di partenza e che, quindi, tenderanno anche a riproporne il canone così come lo conosciamo.
© Alberto Pian www.albrtopian.it
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