«C’erano donne, erano lì. Le loro famiglie le mettevano negli istituti. Ricevevano elettroshock. Negli anni ’50, se eri uomo potevi essere ribelle, se eri donna ti facevano rinchiudere» (Gregory Corso, 1994, Scobie, 1995).
La poetessa invisibile tra i maschi della Beat
(…) Quando loro, la gente, i costruttori del mondo,
dispongono sedie e tavoli
sempre nella stessa posizione,
io conto gli oggetti che so presenti
ma che devo immaginare oltre la PERIFERIA
del mio occhio, e allora le immagini
si fanno meno reali.Il grande sole filtra da una finestra chiusa,
e anch’io sfumo via.
Alla fine scompariamo entrambi.
Si può dire quello che si vuole intorno a una poetessa, ai suoi testi, alla sua vita, che si è tolta di propria volontà a 29 anni. Non ci sono fonti, testimonianze, diari, registrazioni di una certa importanza. Non c’è quasi nulla o pochissimo. In ogni caso non c’è nulla di veramente sostanzioso per scrivere una vera biografia.
Il motivo per cui c’è pochissimo è che lei era una donna in un mondo maschilista composto da trasgressori, ribelli, dipendenti dagli stupefacenti, omosessuali, rinchiusi nel loro mondo perché quello esterno non era tagliato per loro, ma era un abito cucito con l’ideologia del «sogno americano», degli eroi di guerra, della donna con la gonna a campana davanti al nuovo frigorifero.
Erano i beatnik, quelli della Beat Generation (leggi articolo), fra i quali la poetessa si era inserita, ma dove nessuno la notava realmente se non perché era quella che era stata con Allen Ginsberg per il breve periodo in cui Allen cercava di «correggere» (così si dice), la sua pederastia (come lui stesso la definiva in “Urlo”). Viveva con loro ma era il loro «fantasma», perché neppure i «ribelli» battuti e sconfitti («Beat»), erano immuni da stereotipi sociali, da pregiudizi psicologici, da atteggiamenti piccolo borghesi o borghesi del tutto, proprio nel momento in cui cercavano di essere antiborghesi. Il motivo è che non si sfugge dai condizionamenti.

Ma non lo era per i suoi genitori
Se Elise Nada era un fantasma per i compagni della Beat, non lo era per i suoi genitori.
Per loro era presente, fin troppo reale, carne ossa e molto spirito, molta voce silenziosa, molto movimento statico, troppo. Questo per «loro», per i genitori. I compagni la trascuravano, i genitori ne erano ossessionati. Per gli uni era un fantasma, per gli altri era un Moloch, un Gozilla che si era impossessato del loro bell’appartamento sporcandolo, infangando la loro bella vita da americani piccolo borghesi, integrati nel moralismo della pubblicità e del sogno americano ficcato dentro una lavatrice che girava in tondo senza mai spostarsi, esattamente come la loro vita. Non tutti gli ebrei americani erano così infognati nell’ideologia americana, Lenny Bruce, a esempio, non lo era (leggi articolo).
Si può dire tutto e nulla su di lei, si possono analizzare e commentare le sue poesie, parlare della sua vita, della stagione trascorsa a letto con il capo supremo della Beat Generation. Ma ciò che attira la mia attenzione sono i suoi genitori. Come sono entrati nella sua testa, come hanno scavato nella sua anima, come l’hanno resa troppo visibile nella sua trasparenza. E, soprattutto, che cosa le hanno fatto dopo averla spinta al suicidio.
E tutto questo è sconvolgente.
Una matta uscita dal manicomio
C’è chi racconta che era uscita di sua volontà dal manicomio dove era internata e “spiega” il successivo gesto finale con la sua «demenza». Leggo anche che si parla di «psicosi». Un cumulo assurdo e maledetto di fesserie. La tua psicosi, cara Nada, è quella degli altri, te la somministravano un po’ alla volta come un veleno che si inala goccia dopo goccia. Lo facevano guardandoti troppo, considerandoti troppo, avendoti sempre sotto l’occhio attento e penetrante di un giudizio morale scritto a lettere di fuoco, perché, questa è la verità, la società è malata fino alle radici e la famiglia non è che il suo simulacro psicotico.
Allora meglio essere fantasmi con gli amici, che non ti vedono ma almeno non ti giudicano. Meglio qualche pregiudizio maschilista che almeno sai che cos’è, che conosci benissimo, che non fa del male perché nel mondo dei vinti e dei battuti (Beat), niente nuoce se non a loro stessi. Meglio questo che essere sempre sotto l’indagine ipocrita, perbenista, piccolo borghese di una famiglia spaventata anche dalla propria ombra, nel caso in cui il vicino di casa la scopra proiettata sulla staccionata del cortile.

Per questo sei tornata a casa
Io dico che è per questo che sei uscita dal manicomio e sei tornata a casa.
Sei tornata a casa per tornare a essere – per sempre, questa volta – un fantasma, un nulla anche per i tuoi genitori. «Nada» come dice il nome. Elise Nada Cowen. Tolgo il vostro sguardo su di me, lo strappo, lo faccio a pezzi, lo disintegro. Il vostro giudizio è una lama tagliente che toglie la pelle viva senza apparente dolore in superficie, ma devastante proprio lì sotto? E io spezzo per sempre quella lama, vi lascio da soli a scorticarvi, a scarnificarvi per vostro conto. Io torno fantasma, dove sto tanto bene come lo sono di là con quella banda di perdenti conclamati che si sono messi contro tutto e perfino contro se stessi.
Così il 27 febbraio 1962, all’età di 29 anni Nada (Elise Cowen) diventa Nada per sempre, un niente, un fantasma, invisibile come voleva essere.
Finalmente si toglie da quella famiglia, rientra in casa, e si dissolve gettandosi dalla finestra.
Nada toglie il giocattolo dalle mani dei suoi genitori, da una morale piccolo borghese di un’America capace di sganciare ordigni nucleari su popolazioni inermi (Hiroshima e Nagasaki) e, contemporaneamente, di inculcare perbenismo nelle menti dei suoi figli. Il loro ordigno, quei genitori, lo avevano gettato su Nada. Se guardate il mio corpo, come io agisco, quello che io faccio, se pensate che il mio cervello sia malato, allora ecco qua, tolgo il disturbo.
Il siluro di Nada…
È talmente vera, reale, oggettiva, drammatica questa scelta, che colpisce i genitori in modo devastante, li colpisce dritto nella loro verità, nella sede dei loro pensieri più gretti, terribili, meschini e soffocanti. Non so quale sia questa sede, forse il buco del loro culo, non vedo altri anfratti dove possano aver stipato tutto l’odio verso Nada, verso la giovane poetessa Elise.

Così, mentre dalla finestra Nada Elise fa un movimento verso l’orizzonte, il siluro parte alle sue spalle, si infila proprio in quel buco dove i suoi genitori fabbricavano il loro odio a tempo pieno e li fa esplodere, producendo in loro una nuova rabbia finale e devastante, come vedremo, proprio perché quel siluro colpisce il posto giusto, la sede di tutta la loro vuota e malsana esistenza.
e il secondo omicidio, quello più duro!
Per questo accade una delle cose più terribili che abbia mai letto ed è quello che mi ha spinto a scrivere.
I genitori si gettano nella sua stanza, non guardano neppure la finestra, non gliene frega nulla del cadavere di quello che per loro era già un cadavere di figlia da tempo, si scaraventano fra le sue cose, cercano diari, appunti, fogli, prendono tutto e lo bruciano come si fa con le streghe sul rogo. Incendiano, devastano, distruggono con furia omicida. A martoriare la sua anima, dopo quel corpo, ci sono proprio loro e sono proprio loro a bruciare le sue poesie, a far scomparire ogni traccia della sua esistenza. Non parlerai da morta, non getterai il tuo fango, i vicini di casa non sapranno mai, di là dai prati verdi rasati all’inglese, che cosa realmente pensavi, e nessuno dovrà toccare con mano la tua grandezza a scapito della nostra insignificante piccolezza.

Poveri bastardi!
Non sono riusciti neppure a compiere con le proprie mani l’omicidio corporale che tanto desideravano, non sono riusciti neppure a “onorare” fino in fondo la maschera che hanno indossato per una vita e che li ha divorati, e ora si appropriano del suicidio di Elise per massacrarla una seconda volta, quella più terribile, sfogandosi sul cadavere e sull’anima di Nada ora che è Elise, grande e bella poetessa degli anni cinquanta, portata sul rogo dell’Inquisizione Americana da due abietti concittadini.
Due esseri meschini e insignificanti, due scarti del genere umano che, dopo averla portata al suicidio, distruggono Elise nella sua poesia di donna, nella sua esistenza umana di poetessa, di matta da legare che finalmente si è liberata per sempre di loro.

La violenza più sconvolgente
Una violenza così è, per me, sconvolgente.
È sconvolgente la violenza domestica, è sconvolgente la guerra, è sconvolgente la violenza piscologica… ma uccidere la propria figlia già morta, sradicarne l’esistenza affinché neppure il più piccolo e frammentato ricordo la possa riguardare… Dove dobbiamo ascrivere questa violenza? A quale capitolo la rubrichiamo? In quale enciclopedia può essere contenuta la sua definizione?
Ma da quel mondo di sconfitti e di autolesionisti (Beat), così si dice, è emerso un amico che ha miracolosamente «salvato» una ventina di testi di Elise. Sono le uniche poesie che abbiamo.

Grazie “amico”?
Grazie amico! Oppure no, perché questo amico ha pubblicato un libretto, si è aperto la sua modesta strada verso la sua modesta gloria. Forse non era esattamente un amico, forse un bel gesto nascondeva un’appropriazione, cioè un’altra violenza.
Non lo sappiamo. Non sappiamo quasi nulla di Nada Elise. Ma diversi ne hanno parlato, hanno parlato di alcune cose e riportato pettegolezzi. Ma fonti dirette non ce ne sono. Alcune testimonianze sono di venti o trent’anni dopo, chissà se qualche senso di colpa ha attraversato i suoi amici, i leader della Beat. Ma da tutto quello che ho letto una cosa è chiara: nessuno affronta realmente e a fondo quell’evento, il tema del suo ritorno nel mondo dei fantasmi e della sua seconda morte per mano dei suoi genitori. Certo, se ne parla, a volte si usano parole anche poetiche (e anche un po’ finte e blasfeme, secondo me), ma alla fine quel finale di partita rimane sempre ascritto alla cronaca.
Per me, invece, è questa la storia da scavare e da raccontare.
Un album dedicato a Elise Cowen
L’artista francese di Rennes, Egone Line, nel 2022 esce con un album che si intitola proprio Elise Cowen. Vedi Egone Line in Facebook, qui sotto l’album in Spotify.
E qui un concerto di Egone Line che canta le canzoni dedicate a Elise Cowen
Egone Line en concert
Note biografiche essenziali
Qui riepilogo un po' di fatti e vicende che ho letto in giro citando le fonti ma, ripeto, non sappiamo nulla di reale, è difficile incrociare i fatti e i giudizi restano giudizi individuali, testimonianze singole. Si Nada Elise forse, è meglio non scavare troppo.
- Elise Nada Cowen (1933–1962), la sua esistenza è stata per decenni ridotta a un dettaglio biografico nella vita di Allen Ginsberg, di cui fu l’ultima compagna prima della definitiva scelta omosessuale. Nata a New York, unica figlia di una famiglia ebrea della middle class di Washington Heights.
- Joyce Johnson, una sua intima amica, dice: «Letteralmente Nada significa Nulla – Nulla e Nullità assoluta», le confidò Elise “con orgoglio” (Johnson, Minor Characters, 1983, p. 54). Questo «niente» diventano specie di identità.
- Si dice che mentre preparava dolci, l’esplosione di un forno le bruciò sopracciglia e capelli. Da allora, dice sempre Johnson,:«suo padre smise di chiamarla bella» (ibid., p. 54).
- Iscritta a Barnard College, Cowen studiò a fondo letteratura inglese. Era grande fan di Eliot, Pound e sembra che recitasse a memoria Dylan Thomas. «Fu lei che per prima mi lesse quella linea di Pound: “Pull down thy vanity, I say, pull down…”, trionfante, un pomeriggio nella biblioteca di Barnard» (Johnson, Minor Characters, p. 56).
- Sembra che l’incontro con Joyce Johnson fosse importante fatto di «conversazioni di un’intimità inesauribile» (ibid., p. 53). Tuttavia, Elise abbandonò la Barnard, forse perché, si dice, non voleva adattarsi all’accademismo dell’epoca. Visse da sola in un appartamentino e anche questa, insieme all’abbandono dell’università, fu una scelta inaudita per una donna nei primi anni Cinquanta,. La Johnson dice: «Invidiavo il coraggio che rappresentava» (ibid., p. 63).
- Sembra che avesse una relazione con il professore Donald Cook, si parla di assistente, baby-sitter e sua compagna di second’ordine. Con Allen Ginsberg sembra ci fosse un innamoramento molto serio, ma vissuto come devozione (Elise’s life, Allen was an eternity, Johnson, Minor Characters, p. 78).
- Elise trascrisse per Ginsberg la versione finale di Kaddish (Urlo). Ma, sempre la Johnson parla di sproporzione tra i due: «Elise was a moment in Allen’s life. In Elise’s life, Allen was an eternity» (ibid., p. 78).
- Quando Ginsberg si mise con Peter Orlovsky, Elise intraprese una relazione con una compagna, Sheila. La Johnson dice: «amando Sheila, Elise amava Allen, vivendo la sua vita, amando come Allen amava gli uomini» (ibid., p. 92).
- Dopo la sua morte i genitori distrussero la maggior parte dei quaderni e solo Leo Skir riuscì a salvarne uno, pubblicando in seguito alcuni testi sull’Evergreen Review (Skir, 1970).
- Tony Trigilio, curatore dell’edizione Elise Cowen: Poems and Fragments (Ahsahta Press, 2014), dice che Cowen: «abbraccia immagini di potere sacro per riconsiderarle, riscrivendo il linguaggio della preghiera in favore di un linguaggio materiale e incantatorio» (Trigilio, 2014, p. 128). Elucubrazione da critici (secondo me), Sicuramente è una poesia che prende ispirazione da Emily Dickinson, che Elise addirittura cita e immagina come compagna: «Emily toglierà le tue api gioiello / ed Elise spoglierà i miei jeans puzzolenti» (Poems and Fragments, p. 26).
- Sembra che abbia vissuto anni di precarietà, un aborto tardivo che le procura una isterectomia (Skir, 1970, p. 153), il licenziamento alla NBC, il ricorso a droghe e alcol a San Francisco, quindi ripetuti ricoveri psichiatrici a Bellevue.
- Il 27 febbraio 1962 si gettò dalla finestra dell’appartamento dei genitori a Washington Heights. La Johnson dice: «Si scagliò attraverso una finestra chiusa e sbarrata» (Minor Characters, p. 257).
- Un frammento sopravvissuto, ritenuto il suo ultimo testo, elenca amici e figure amate rivolgendosi loro qualche raccomandazione o nota: «Twenty-seven years is enough / Mother – too late – years of meanness – I’m sorry / Daddy – What happened? / Allen – I’m sorry… / Leo – Open the windows and Shalom» (Knight, Women of the Beat Generation, 1996, p. 165).
- Gregory Corso, nel 1994, disse: «C’erano donne, erano lì. Le loro famiglie le mettevano negli istituti. Ricevevano elettroshock. Negli anni ’50, se eri uomo potevi essere ribelle, se eri donna ti facevano rinchiudere» (cit. in Scobie, 1995).
- La sua poesia è stata riscoperta tramite Trigilio e le antologie femministe degli anni Novanta (Women of the Beat Generation, 1996).
Riferimenti
- Johnson, Joyce. Minor Characters: A Beat Memoir. Boston: Houghton Mifflin, 1983.
- Johnson, Joyce. Come and Join the Dance. New York: Atheneum, 1962.
- Knight, Brenda (a cura di). Women of the Beat Generation. Berkeley: Conari Press, 1996.
- Skir, Leo. “She Was Beat with Allen Ginsberg: Elise Cowen: A Brief Memoir of the Fifties.” Evergreen Review, ottobre 1970.
- Trigilio, Tony (a cura di). Elise Cowen: Poems and Fragments. Boise: Ahsahta Press, 2014.
- Corso, Gregory. Intervento al Naropa Institute, 1994, cit. in Scobie, Stephen. The Beat Generation Writers. New York: Palgrave, 1995.
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