Alberto Pian

Alberto Pian

ELISA ESPOSITO E DANTE ALIGHIERI, INFLUENCER DEL LINGUAGGIO

Ho letto con grande attenzione e interesse Amiœ, Elisa Esposito, Mondadori, Milano, 2022. Libro che prendo in considerazione per affrontare alcuni stereotipi e pregiudizi sociologicamente e storicamente sbagliati, ma che appartengono all’ideologia dominante. Lo farò parlando anche di un altro famoso influencer dei suoi tempi (e non solo), Dante Alighieri.

Il linguaggio, per definizione, è delimitazione, diversità, alterità, soggettività. In un’epoca di decadenza e imbarbarimento come la nostra, potrebbero sorgere, e forse sorgeranno, linguaggi nichilisti, perversi e devastanti, pronti a distruggere tutto, che identificheranno comunità di parlanti vittime della stessa barbarie alla quale magari si vorrebbero opporre.

Elisa invece, nel suo piccolo, proprio come Dante all’epoca (scusino i benpensanti il paragone), trova nel linguaggio un nucleo di valori  etici attraverso i quali contrastare questa deriva sociale per poter ricostruire una socialità fondata su relazioni interpersonali sane.

Così il libro di Elisa, che si presenta in una forma eclettica, easy, poco seriosa, molto lontana dall’essere un “trattato” e che dai più è giudicato banale e inconsistente, in realtà apre lo sguardo sul rapporto fra linguaggio e società e sulle sue tendenze, di cui parlo in questo paper.

Se sei sorpreso da questa premessa, non ti resta che leggere questo lungo e analitico testo, ma se sei già scandalizzato così per quel che ho detto… non farlo!

Influencer del XIII e del XXI secolo

Probabilmente il lettore benpensante e moralista salteranno dalla sua poltrona nel vedere sullo stesso “scaffale” del mio blog “Storytelling attraverso la letteratura” Amiœ di Elisa Esposito insieme ai testi che ho scritto su Becket e Jonesco, Fante, Moravia e altri pubblicati e che pubblicherò su opere della letteratura mondiale.

È un suo problema.

Dante Alighieri, noto “influencer” del XIII – XIV sec. è considerato da molti l’esponente di una letteratura “alta” creata con una lingua “bassa”. Aveva scritto un lungo testo di vendetta politica dove, dall’alto della sua “presunzione” (o narcisismo?), giudicava centinaia di altri “influencer” come lui – più o meno noti al pubblico – dopo essere stato condannato all’esilio e a morte sulla base di tre sentenze per reati quali corruzione, concussione, peculato, pederastia e altri.

Domanda: come verrebbe giudicato oggi un influencer pluricondannato, che spedisce pubblicamente all’Inferno chi gli sta sulle scatole, promuovendo in Paradiso amici e compagni di strada?

Eppure, provate a pensare ai canti della Commedia come ad altrettanti post di Instagram con lo scopo di avere un seguito sociale di massa, scritti in volgare proprio per essere compresi dal popolo minuto che quella lingua l’aveva “creata”. Infatti, mentre le classi colte prediligevano il Latino,  il Boccaccio leggeva le terzine di Dante in piazza a un pubblico di bifolchi, contadini, ricchi borghesi e artigiani che ridevano e applaudivano all’ironia e al sarcasmo dell’Alighieri.

Boccaccio doveva salire su una cassetta della verdura al mercato perché non poteva creare un profilo Instagram. Ma il risultato è identico: piccoli e grandi scrittori, piccoli e grandi influencer e creator compiacciono il pubblico per guadagnare in popolarità.

È anche noto che Dante non disdegnava, come i suoi amici e come era usanza nella Toscana dell’epoca, pratiche di “bullismo in rima” addirittura verso parenti e conoscenti, come Forese Donati e sua moglie che, secondo Dante, era sempre raffreddata anche in pieno agosto perché non era sufficientemente “riscaldata” dal marito, sessualmente incapace e pieno di debiti. E questo lo scriveva in pubblico, come avviene oggi in TikTok.

Illustrazione di beeple (mike winkelmann) http://www.beeple-crap.com (http://www.beeple-crap.com/) Charleston, SC, USA, licenza Creative Commons da Behance.

Dante Alighieri e Elisa Esposito

Certo, oggi sarebbe ridicolo scrivere come Dante così come alla sua epoca sarebbe stato impossibile scrivere come Alice Esposito o come Steinbeck. Ogni epoca ha i suoi codici di comunicazione e i suoi linguaggi, che sono definiti anche in base alle comunità sociali di parlanti che si formano e che vogliono rappresentare (target) esprimendone un’identità linguistica.

Però alla base della Commedia di Dante e di Amiœ di Elisa ci sono esattamente le stesse intenzioni: quelle di strutturare un linguaggio comprensibile per rivolgersi a una determinata massa di persone, con lo scopo di allargare il seguito dei propri “follower” creando una community sociale che possa sostenere la loro popolarità determinando una tendenza di massa (moda).

Nel caso di Dante la Commedia era un’operazione politica maturata nel sangue, in un clima militare, di guerra civile, di vendette e di aggressioni, di violenze di ogni tipo a Firenze e in Italia. Con la Commedia ha creato una sorta di scudo protettivo che, grazie alla fama e alla popolarità, cioè a un seguito di massa, avrebbe in parte assicurato la propria sopravvivenza specialmente presso le città dei signori ghibellini che lo ospitavano (esiliato, condannato a morte in contumacia, con il fiato dell’Inquisizione sul collo e nemici ovunque non poteva non proteggersi grazie anche alle simpatie popolari che raccoglieva).

Al contrario, sulle spalle di Elisa non incombono tribunali, sentenze, violenze e vendette assassine, né insani scopi politici e guerreschi. Quello dell’influencer per lei è semplicemente un piacere personale nato casualmente durante la pandemia, poi diventato un vero e proprio lavoro.

Entrambi, Dante e Elisa, hanno centrato il proprio scopo avvalendosi di un linguaggio non istituzionale, parlato da un determinato target di persone, con lo scopo di realizzare propri legittimi obiettivi. Per Dante di natura politica e vendicativa, per Elisa di lavoro e di passione personale. 

Nessuno dei due ha “inventato” una lingua nuova, ma entrambi hanno scritto una sorta di “giustificazione” di una parlata esistente. Dante il De Vulgari Eloquetia, Elisa Amiœ. Nel primo caso la fortuna di Dante è stata di aver scelto una parlata dalla quale sarebbe poi sorta la lingua italiana, nel caso di Elisa il corsivo non va oltre un fenomeno sociale circoscritto e limitato nel tempo.

Illustrazione di beeple (mike winkelmann) http://www.beeple-crap.com (http://www.beeple-crap.com/) Charleston, SC, USA, licenza Creative Commons da Behance.

Dante ed Elisa raccolgono fenomeni sociali

Dunque la differenza si riduce essenzialmente al fatto che l’opera di Dante resterà iscritta negli annali della Letteratura mentre quella di Alice no. I motivi riguardano temi artistici, letterari, poetici e storici, hanno un loro legittimo fondamento logico ma esulano dalla nostra analisi. 

Del resto Elisa è una ragazza sufficientemente intelligente per comprendere che sul piano squisitamente artistico la sua opera non può essere confrontata con la Commedia e viceversa.

Il solo fatto che a noi interessa è che entrambi abbiano raccolto un fenomeno sociale, lo abbiano saputo interpretare e usare per determinati scopi. Siccome la scelta di Dante è stata perfino alla base del risveglio di un sentimento nazionale e ha strutturato il linguaggio della Letteratura del nostro paese, giustamente le si attribuisce un’importanza che la stessa storia ha nei fatti sancito.

Tuttavia la giusta fama dell’opera di Dante ha automaticamente “lavato” e “ripulito” il suo autore, come uomo e come politico. Le istituzioni e gli intellettuali “istituzionali”, incapaci di applicare alcun senso critico, insieme a una massa che si lascia abbindolare, hanno compiuto un’immensa opera di restailing del personaggio Dante. Ma dobbiamo essere chiari: scrivere la Commedia non significa assolvere automaticamente Dante stabilendo che dall’oggi al domani sia diventato uno stinco di santo, tutt’altro.

L’opera non è l’autore

Per quale ragione è importante considerare il fatto che non possiamo mettere sullo stesso piano l’autore e le sue opere? Perché viviamo in una società estremamente moralista, priva di etica, pronta a “elevare” e “abbassare” gli uni e gli altri secondo il proprio tornaconto e la direzione del vento.

Dante era politicamente collocato dalla parte del potere temporale della Chiesa (era Guelfo, non Ghibellino), che ha impedito di realizzare l’unità nazionale fino al 1871. Infatti la politica della Chiesa è stata la causa delle divisioni del paese e delle guerre fratricide fin dalla caduta dell’impero romano. Appellandosi ai Franchi contro i Longobardi il Vaticano ha impedito che questi ultimi completassero la loro impresa di unire l’Italia, così come poi ostacolerà Federico II nei suoi intenti.

Quindi Dante era schierato dalla parte “sbagliata” e, dato il suo ruolo di “influencer”, nei fatti è stato al servizio di un “brand” (lo Stato Pontificio) deleterio, al servizio di una causa che ha contribuito alla divisione del paese e al moltiplicarsi di lotte fratricide. Salvo poi trovare asilo presso i ghibellini e accordarsi con loro contro i guelfi neri che lo avevano espulso da Firenze.

Non solo, Dante era un vero e proprio uomo di potere.  Ha esercitato il potere a Firenze negli organismi e nelle cariche più elevate e le azioni che ha compiuto non sono affatto chiare e cristalline. Nessuno può mettere la mano sul fuoco sulla sua onestà e men che meno sulla sua indipendenza. Aveva sposato Gemma Donati accettando una dote minore pur di entrare nel giro dell’aristocrazia fiorentina, ma non aveva disdegnato di abbandonare il “brand” dei Donati a favore dei Cerchi che gli permise di scalare il potere per conto della fazione politica opposta alla famiglia della sua consorte (i guelfi neri erano guidati dalla famiglia Donati della moglie Gemma, mentre i bianchi erano capeggiati dai Cerchi, loro acerrimi nemici). Salvo poi subire le conseguenze di questa scelta ed essere esiliato dagli stessi neri che presero il potere a Firenze. Inoltre Dante era anche un combattente in prima linea sul campo militare e ispiratore di azioni di guerra, non certo un mansueto pacifista.

Non possiamo lavare le colpe di Dante a causa dello statuto di “influencer secolare” che ha conservato nella propria e nelle successive epoche storiche grazie alla sua Commedia.

Elisa non avrà contribuito alla “Grande-Causa-della-Letteratura-e-della-Poesia-Mondiale”, ma non ha nemmeno il passato di errori, violento ed equivoco di Dante.

Eppure il suo libro è stato messo all’Indice non appena uscito e lei è stata trattata come una specie di delinquente. È stata spinta all’esilio (da Instagram, dove è “nata”), dal giudizio popolare, mentre Dante è stato esiliato da un tribunale in base a tre processi sui quali non è possibile dare un giudizio storico serio. Voglio dire che mentre nel caso di Elisa il furore popolare è certamente da condannare, nel caso di Dante non abbiamo prove chiare per poter dire che fosse una vittima di processi – farsa (mentre una farsa è invece stata la “riabilitazione” di Dante da parte della commissione cultura del consiglio comunale di Firenze nel 2008).

È dunque curioso che si sia pronti a lavare il passato di Dante nonostante tre sentenze e le conoscenze che abbiamo su di lui, ma si è subito disponibili a prendere le distanze da Elisa, vittima di un vero e proprio furore popolare, con la compiacenza dei media.

Illustrazione di beeple (mike winkelmann) http://www.beeple-crap.com (http://www.beeple-crap.com/) Charleston, SC, USA, licenza Creative Commons da Behance.

La massa è indottrinata dai disvalori delle istituzioni

Mossa dall’entusiasmo per la sua uscita – è sempre entusiasmante pubblicare un libro – Elisa ha scritto un post in Instagram che ha ricevuto una valanga di insulti e di critiche (i commenti ai suoi post presentano sovente apprezzamenti volgari, a volte con insulti e contenuti violenti).

Una delle cause di questa violenza nei suoi confronti è proprio in ciò che abbiamo appena spiegato. Nella nostra società se non fai parte dell’élite che si colloca nella cosiddetta “cultura alta” non solo non sei nessuno, ma diventi un bersaglio “autorizzato”.

Il mio pensiero in merito è semplice. Proprio questa incapacità di relativizzare gli idoli dei diversi Pantheon, di abbandonare questi culti della personalità, queste forme di idealizzazione, è responsabile dei pregiudizi, degli insulti e delle violenze, che una massa di ignoranti si sente autorizzata a scatenare.

Se Dante ha servito fino alla fine, senza andare tanto per il sottile, uno schieramento politico, una sua eventuale esecuzione non avrebbe scandalizzato nessuno, poiché sarebbe stata una conseguenza logica in un clima di guerra civile.

Al contrario, Elisa non ha compiuto alcuna scelta analoga e tuttavia deve subire gratuite violenze figlie del disvalore istituzionalizzato fomentato dalla distinzione tra “cultura alta” e “cultura bassa” e dei miti di un preteso “Pantheon” della Letteratura.

Detto in altri termini: l’idealizzazione di Dante e della sua opera, o di Manzoni, o di Montale, di Shakespeare o di chiunque altro sia stato collocato sul trono di qualche Arte o Scienza, provoca reazioni violente in una massa di persone allevate in scuole prive di intelligenza e senza il minimo senso critico. È la reazione di un “popolo bue”, volutamente tenuto a livello del “bue” anche se possiede un diploma o un master.

In una intervista al Corriere del dicembre 2022, Elisa spiega:

“Sono sommersa dalle critiche. Ma me lo ha chiesto Mondadori Electa: io capisco gli snob, capisco che ci sono scrittori che per tutta la vita tentano di pubblicare e non ce la fanno mai, ma chiunque avrebbe accettato una proposta così”.

Quindi Elisa ha scritto questo libro perché ha ricevuto un’offerta molto allettante da Mondadori. Bene, è un fatto positivo che ci siano degli osservatori in grado di scoprire dei talenti, anche se quello di Elisa non è certo il tipo di talento che piace ai benpensanti, che preferiscono i “talenti” oscuri che Dante metteva in gioco mentre esercitava il potere a Firenze.

Violenza diffusa

“Vedo tanto accanimento contro questo libro. Intanto la Esposito non ha colpe. Lei è quello che è. E non è giusto bullizzarla

Poverina, è nata così, è fatta così, non è giusto bullizzare chi presenta dei deficit (per non dire altro). E questo è uno dei commenti più “elevati” intellettualmente, di qualcuno che la vorrebbe anche “difendere”.

Nel momento in cui scrivo 75 persone sono d’accordo con chi dice: “Al di là di tutto, ma quale sarebbe il target di sto libro? Chi lo dovrebbe volere?” Un modo indiretto per dire la stessa cosa del post precedente: il livello del libro è così basso che sarebbe difficile trovare un pubblico di lettori. Un altro è più pesante:

“Ma piuttosto mi leggo le etichette dei bagnoschiuma, piuttosto che sto scempio di ‘coso’ di sta scappata di casa.”   E questo esprime una certa violenza: “E soprattutto con i soldi che fai, fatti fare una baracca dove rinchiuderti per non prendere gli insulti perchè te li meriti tutti…”.

Anche questo non ci va leggero:

“Ma smettila che sei imbarazzante. Hai creato un nuovo modo di parlare che non ha alcun senso, e soprattutto quando parli in quel modo sembra che hai qualche tipo di problema. Oserei dire che piú di modo di parlare, il corsivo sembra una nuova malattia mentale.”

O, ancora: “Ma dove cazzo siamo arrivati questa guadagna grazie a gente rincoglionita, che mondo.”

La violenza nei commenti è estremamente diffusa:

“Ma se conosci l’alfabeto fino alla R, ma di che cazzo stiamo parlando?” E un secondo messaggio: “Manco per pulirmi il cu.lo”. E un altro: “Andresti espulsa dall’Italia.”; “Mo ti tiro un porcone così grande che dal corsivo ti insegno il maiuscolo!”; “Ma tipo respirare del gas?”.

Ci sono anche molte bestemmie e insulti che non riporto neppure.

Il lettore si è fatto un’idea, i commenti di questo genere sono migliaia e  possiamo ovviamente scommettere che nessuno di questi personaggi ha acquistato e letto il libro.

Illustrazione di beeple (mike winkelmann) http://www.beeple-crap.com (http://www.beeple-crap.com/) Charleston, SC, USA, licenza Creative Commons da Behance.

In esilio

Credo che Elisa abbia accantonato il suo profilo di Instagram proprio a causa di questi messaggi per passare a Telegram e TikTok mentre recentemente sta facendo un’esperienza anche in OnlyFans.

Come dicevo prima Elisa è in “esilio” da Instagram, il suo social di elezione, a causa di una violenza gratuita, Dante è stato condannato all’esilio da un tribunale che ha giudicato l’uomo di potere. C’è una certa differenza. Il secondo caso è normale, riguarda le leggi della storia, ma il primo è inaccettabile. A sei secoli dai tempi di Dante l’ideologia del pregiudizio e del vuoto pensiero istituzionale non hanno battuto alcuna ritirata.

La cultura non ha alcun potere

Dunque, per aizzare un po’ di polemica, chiedo: a che cosa serve tutta questa cultura? A che cosa serve la scuola di massa, la diffusione dei libri e dei giornali? Uomini di pretesa grande “cultura” hanno servito e servono i peggiori poteri e ideologie. Dunque, che cos’è e a che cosa serve veramente la cosiddetta “cultura” se non è in grado di creare una società giusta e onesta?

La cultura non cambia il mondo, non ha nessun potere sul cambiamento. Anzi, non esiste una cultura veramente indipendente e liberatoria finché la società nella quale viviamo sarà quella che è, retta dai meccanismi di un sistema (capitalista), per il quale la cultura è solo una merce fra tante, un’occasione di business ironicamente fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla natura. Puoi stampare tutti i libri più “elevati” che vuoi, resta il fatto che a produrli sono degli schiavi, delle persone sfruttate, dei precari senza stipendio e diritti, delle donne sottomesse sulla base di risorse strappate a una Natura offesa…

Non è paradossale dire che la cultura, che esiste solo a causa dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura, possa “liberare” qualcuno dalle sue catene, o salvare il pianeta dalla distruzione?

La Commedia e Amioœ

È stato detto che Amiœ è un libro molto povero, insistente, vuoto, privo di contenuto. Non è vero. Il contenuto di Amiœ è come il contenuto della Commedia di Dante.

Entrambi nascono nella propria comunità di parlanti che conoscono bene e si rivolgono a loro e a un pubblico più largo. Entrambi strutturano delle regole comportamentali e etiche e stabiliscono quali azioni sono “corrette” e quali sbagliate. Entrambi assolvono e condannano e mostrano esempi concreti. L’uno è scritto in volgare perché questa è la parlata della comunità con la quale si rapporta, l’altro è scritto in italiano ma riguarda il corsivœ perché quella è la parlata della comunità alla quale si riferisce.

Ovviamente cambiano la poetica, i contenuti storici, i riferimenti culturali e il sapere che è racchiuso nei due testi. Tuttavia c’è ancora un elemento comune particolarmente significativo, che li unisce: è l’etica. E, fra l’altro, un’etica che ha molti aspetti simili.

La Commedia: un involucro per ingannare il potere e proteggere il messaggio

Nonostante abbia sostenuto il potere temporale della Chiesa e si sia schierato dalla parte “sbagliata” del conflitto, nella Commedia Dante sostiene una visione completamente opposta a quella pontificia dominante, nella quale la Chiesa e il suo potere temporale vengono condannati chiaramente, mentre egli si schiera per l’amore terreno sfidando l’Inquisizione e l’ideologia dell’epoca che condannava l’Amor Mundi a vantaggio dell’Amor Dei. Per fare questo Dante usa un involucro religioso che segue la cosmogonia cattolica (Inferno, Purgatorio e Paradiso e tutte le simbologie correlate). Non è nulla di più che un dotto espediente per ripararsi da ulteriori attacchi, specialmente in esilio. Nell’involucro perfettamente strutturato che fa sembrare la Commedia un’opera religiosa, protegge dall’Inquisizione e da potenziali nemici un contenuto laico e rivoluzionario che manda in frantumi l’ideologia pontificia dominante.

Conoscete tutti la Commedia, non mi dilungo oltre, ma Dante sviene di fronte all’intelligenza razionale di Ulisse, all’amore terreno di Francesca, schiaffa all’Inferno papi e prelati corrotti, rende onore ai nemici onesti e così via. Nei limiti culturali e filosofici dell’epoca Dante compie la classica operazione che qualsiasi scrittore mette in pratica per sfuggire alla censura e alla condanna in un regime dittatoriale: copre i contenuti critici in una forma ingannevole per il potere. In questo modo il lettore trova nella Commedia una vera e propria ideologia politica insieme alle regole di una nuova etica. Invece di esplicitarle in modo chiaro: “Si deve fare così e così”, le nasconde dietro una serie di esempi, di svenimenti, di ammirazioni, di emozioni che prova durante il viaggio  e che provano anche i suoi interlocutori come una sorta di specchio in cui si riflettono, in realtà, i sentimenti di Dante stesso.

Non parlerò più della Commedia, il lettore la conosce, se ha dei dubbi la rilegga seguendo il metro che ho proposto e poi mi saprà dire.

Illustrazione di beeple (mike winkelmann) http://www.beeple-crap.com (http://www.beeple-crap.com/) Charleston, SC, USA, licenza Creative Commons da Behance.

L’etica di Amiœ

Il libro di Elisa non ha le stesse pretese e ambizioni e sarebbe offensivo per lei tentare di metterlo sullo stesso piano della Commedia.

Tuttavia ci interessa il fatto che quando un testo prende a riferimento esplicito una specifica comunità di parlanti con il proprio linguaggio, esattamente come la Commedia, in qualche modo l’autore non si può sottrarre dal cercare di codificare dei comportamenti e di definire una sorta di etica di quella stessa comunità.

Dante definisce la tipologia dell’uomo del proprio tempo in mezzo a conflitti epocali e cruenti utilizzando un linguaggio poetico popolare. Elisa definisce una tipologia estremamente più circoscritta, temporalmente più caduca (non esisterà mai una specie di “nazione del corsivo”, mentre l’Italia e la lingua italiana esistono), legata a un ambiente e a una fascia di età estremamente limitate. Sono fenomeni socialmente simili, storicamente molto differenti, da cui nascono prodotti altrettanto differenti ma perfettamente legittimi.

Elisa nel suo piccolo presenta molte riflessioni etiche, inquadra un fenomeno sociale, mostra degli esempi e dice in modo esplicito come si deve comportare una “ragazza corsivœ”, cioè un membro di quella comunità di parlanti. Prende un fenomeno sociale e lo inquadra attraverso un libro simpatico che non nutre alcuna pretesa di “spessore culturale” e che si è divertita a confezionare. Da questo punto di vista finisce ogni possibilità di confronto con la Commedia, benché penso che lo stesso Dante si sia divertito parecchio a prendere il posto del Giudice (Dio), collocando gli uni e gli altri ora all’Inferno, ora al Paradiso o al Purgatorio a volte sfottendoli in rima!

Per quanto riguarda l’etica che Elisa propone è interessante rilevare che proprio in un periodo in cui le famiglie sembrano aver rinunciato a propositi educativi, in cui la scuola è sotto pressione, in cui nuclei di giovani fagocitati dai social sembrano aver perso i legami sociali e addirittura li infrangano anche violentemente, in un momento cioè di assenza o di rimessa in causa di valori (come all’epoca di Dante), Elisa si richiami con leggerezza – ma con insistenza – a una serie di principi etici e pedagogici fondamentali. Principi che rappresentano il naturale ABC di qualsiasi persona che abbia cuore la propria indipendenza intellettuale e la propria sanità mentale.

Il tema della spontaneità

Non so se il libro sia stato scritto da Elisa, da Elisa con un writer o da qualcun altro. Quale che sia il modo in cui è venuto alla luce il libro la rappresenta e ne rappresenta il pensiero perciò, a tutti gli effetti, è il libro di Elisa.

Il suo personaggio, spiega Elisa, non è stato programmato. A più riprese sostiene di essere timida e di essersi affacciata ai social proprio per timidezza perché la maschera protettiva del social favoriva la sua spontaneità. Non ci sono intenzioni preconfezionate dietro il personaggio pubblico di Elisa. Era l’epoca della pandemia e dei lockdown ed Elisa “giocava” con i social e con il corsivœ che, Elisa lo spiega più volte, non ha inventato lei, ma ha ripreso dalla parlata di alcuni giovani milanesi del centro città (ci sono anche riferimenti a canzoni come Spigoli e diverse altre).

Il tema della spontaneità è caro a Elisa ed è anche una parte centrale del suo personaggio. Lo stesso corsivœ, spiega Elisa, è basato su una gramatica “spontanea”:

“Come si parla in corsivo? Soprattutto con il cuorœ. Nel senso che l’enfasi va messa a seconda della parte della frase che volete mettere i evidenza. Non è qualcosa che potete scegliere razionalmente, fermando a riflettere prima di parlare. Per nulla, non funzionerebbe. Semplicemente, lasciatevi guidare dall’istinto. Usate la cadenza corsiva per concentrare l’attenzione di chi vi ascolta verso la parte più importante della fräse.” (pag. 11).

La tecnica alla base del corsivo riguarda il modo con il quale le vocali sono pronunciate, mentre le consonanti restano invariate. Le vocali tendono ad allungarsi e a presentare a volte casi specifici che Elisa tratta nella sua grammatica. L’insieme della frase assume una musicalità, una sorta di cantilena perché, spiega sempre Elisa: “avrete distribuito al meglio suoni acuti e le vocali trasformate e allungate.” (pag. 12).

Questa musicalità viene arricchita, surdeterminata da fattori esclusivamente emotivi, sentimentali. Il termine amiœ, per esempio, è l’abbreviazione di amore e di “generico appellativo” e funziona come una sorta di intercalare:

“Come fanno le vostre amiche, se siete in gruppo, a capire a chi state parlando? Ma è ovvio, la pronuncia di amiœ cambia leggermente a seconda dell’amica, del rapporto che vi lega, da quanto vi conoscete…” (pag. 25).

Illustrazione di beeple (mike winkelmann) http://www.beeple-crap.com (http://www.beeple-crap.com/) Charleston, SC, USA. Licenza Creative Commons via Behance.

Il linguaggio dei sentimenti

Detto in altri termini: il corsivo sembra essere fortemente attaccato ai sentimenti, all’emotività e a relazioni interpersonali assolutamente soggettive dalla cui decodifica nasce la comprensione “grammaticale” del linguaggio e non viceversa, come avviene tradizionalmente.

Il corsivo è un linguaggio attraverso il quale si vuole sottolineare l’emotività del soggetto, i suoi sentimenti verso gli altri. È come se in qualche modo si volesse uscire da un sistema di comunicazione oggettivo, codificato ma impersonale, per mettere l’accento sull’animo, sull’interiorità del soggetto e sulla qualità dei suoi legami.

Si potrebbe obiettare che anche la lingua tradizionale permette di rappresentare l’emotività e i sentimenti. Basta calcolare con quante diverse intonazioni possiamo dire “amore”.” Amore!!” cioè: che cosa stai combinando? Te lo dico in modo non amorevole. Oppure: “Amore mio dolcissimo e meraviglioso” mentre si è stretti un abbraccio. Ancora: “Amoreee, alzati che farai tardi”, per impartire una consegna con un sentimento fraterno o materno. È vero, la lingua tradizionale offre tutte le sfumature che vogliamo. Tuttavia queste sfumature sono all’interno di un involucro che le ha codificate. “Mamma ti voglio bene.” “Ti voglio bene anch’io”, viene ripetuto all’infinito nei film mentre nella vita reale si sprecano i “tesoro”, “amore”, ecc. Nella vita quotidiana il linguaggio ha codificato una serie di espressioni che cristallizzano i sentimenti in prodotti tutti uguali e pronti all’uso. Gli schemi della comunità tradizionale dei parlanti sono noti come le differenti confezioni di patatine nei banconi di un supermarket. Scegli il tuo schema come sceglieresti il gusto piccante o classico. Il linguaggio è zeppo di parole vuote (Lacan), di maschere il cui uso ne ha tolto ogni significato profondo, o semplicemente reale.

Il linguaggio istituzionale è falso

Ed è falso perché la società sulla quale poggia, che esprime e rappresenta è falsa. Uno degli esempi più limpidi consiste nel chiamare azioni di guerra e militari le “missioni di pace”. Ma pensate anche a tutti i fatti di cronaca determinati da “amori” soffocanti che nascondono in realtà tonnellate di odio, ai rapporti basati su simbiosi camuffate da sentimenti genuini e così via.

È indiscutibile che il linguaggio non rappresenti “l’umano”, perché la sua funzione è di nascondere ciò che opprime questo umano. Il linguaggio è al servizio di un sistema che rovescia la realtà. Pensate al fatto che da qualche tempo nei telegiornali e nei talk show si continui a parlare di guerre nucleari e di possibili devastazioni come se fossero “normali”, quando il solo nominarli dovrebbe suscitare repulsione e sdegno. Il linguaggio è al servizio di un potere che mistifica verità e menzogna, bene e male, affettività e odio.

In poche parole il linguaggio istituzionale (cioè corrente), di massa, è falso.

Che cos’è “osceno”?

Negli anni sessanta Marcuse diceva che il termine “osceno” chiariva bene questo processo. Si dice che un corpo nudo, un film pornografico siano “osceni”, ma nessuno si scandalizza di fronte a un generale pieno di medaglie che ha sulla coscienza migliaia di morti.

Io penso che Marcuse avesse ragione e che prima di lui avesse ragione anche Lenny Bruce. Il linguaggio è uno strumento utilizzato per diffondere l’ipocrisia, non per cercare la verità. Questo perché le classi dominanti devono nascondere, attraverso il linguaggio, il proprio fallimento.

L’ipocrisia e la falsità del linguaggio hanno dei riflessi diretti nelle relazioni personali. Anche agli amici si nasconde la verità, si fa fatica a esprimere un discorso “onesto e sincero”, non c’è trasparenza. Ancora una volta questo non dipende dal linguaggio in sè e neppure dai suoi parlanti, ma dalla struttura economica e sociale che ne è alla base. Il linguaggio è l’unico strumento di cui la società dispone per restaurare la propria reputazione. Il sogno americano e l’happy family, l’ipocrisia e il rovesciamento della realtà, specialmente da parte dei media, sono le forme che il linguaggio assume, per cui l’oscenità non è quella che dovrebbe essere realmente, ma quella per la quale ci dovremmo scandalizzare. Il linguaggio è lo strumento attraverso il quale la realtà viene rovesciata di fronte alla comunità dei parlanti.

Illustrazione di beeple (mike winkelmann) http://www.beeple-crap.com (http://www.beeple-crap.com/) Charleston, SC, USA. Licenza Creative Commons via Behance.

Una reazione al linguaggio istituzionale

Non voglio approfondire ulteriormente questo tema che esula dai nostri obiettivi. Ma ne ho dovuto parlare per porre una questione molto semplice:

Perché non proviamo a considerare che il legame – mostrato dal libro di Elisa – fra il linguaggio e i sentimenti, per trasformare la lingua in qualcosa di soggettivo, possa riflettere una reazione, anche inconscia, di determinate comunità di giovani verso il linguaggio istituzionale ipocrita e falso, non costruito da loro e lontano dai loro sentimenti?

Perché non proviamo a considerare che in qualche modo il corsivœ di Elisa – e tante altre forme differenti che appartengono a ristrettì comunità di parlanti – siano l’espressione di una sana presa di distanza da un mondo linguistico istituzionale molto lontano e per certi versi incomprensibile?

Del resto il linguaggio è la prima cosa con cui un soggetto si scontra fin da quando viene al mondo. Prima di entrare in un contesto produttivo, prima ancora di capire chi è e da dove viene il soggetto parla e ascolta altri parlare. E che cosa ascolta se non il linguaggio falso e ipocrita (nel suo insieme, intendo) dominante?

Perciò io chiedo: e se certe comunità di parlanti, come quelle a cui Elisa si riferisce, esprimessero proprio una percezione disincantata dei linguaggi istituzionali e fossero quindi alla ricerca di soluzioni “linguistiche” diverse? Se cercassero e sperimentassero delle alternative per far emergere la propria soggettività, cioè il proprio valore “speciale” intrinseco di persone, di soggetti umani, che la società con i suoi linguaggi invece chiude?

La grammatica dei comportamenti della ragazza corsiva

In effetti sembra essere così perché il tema dei sentimenti è centrale in Amiœ  ed è legato a una sorta di grammatica dei comportamenti della ragazza corsiva. Se un’amica passa a trovarti per farti una sorpresa, tu non mostri il terrore che ti assale per l’interrogazione del giorno dopo. Non assilli l’amica e neanche la respingi perché dovresti studiare, ma l’accogli. Questa accoglienza significa rispetto per un sentimento di amicizia che è un valore per la ragazza corsiva. “Il concetto è che “la vita è fatta, tra le altre cose, di sclērœ” dice Elisa, e questi sclērœ vanno sopportati, non ti devi far guidare da loro: 

“La ragazza corsiva lo accetta e farà di tutto per vivere al meglio.” “Fare bruttœ alla vita non serve a niente (…) ci sono sclērœ risolvibili e anche sclērœ più grandi di voi, che dovrete necessariamente tollerare. In quei casi la ragazza corsiva sa farsi forza e sopportare.” (pag. 44).

Questo vuol dire che se l’amica ti fa un’improvvisata (in un mondo in cui si sta a casa propria attaccati al cellulare, o in giro ma sempre attaccati al cellulare), tu non ti devi più preoccupare dell’interrogazione. Se andrà male la rifarai. Non ti puoi far sclerare dagli sclērœ degli altri (i professori).

È una visione della vita relativa, nella quale si cerca di ritagliare il proprio posto. Per questo la ragazza corsiva adotterà dei comportamenti adeguati. Non si piangerà addosso, cercherà di non assumere comportamenti sbagliati e offensivi e se non ci riesce “sa che sarebbe meglio non praticarli” (pag.45), dà un grande valore all’amicizia e non lascerà mai un amico in difficoltà e, a sua volta, sa chiedere aiuto “e non se ne vergogna” (pag. 46).

La ragazza corsiva vive in una comunità sociale fatta di persone come lei, regolata da rapporti di amicizia, da sentimenti reali, da comportamenti onesti e realistici. In questo senso “non fingo di essere perfetta che tanto non ci riuscirei.” (pag. 46). All’interno di questa comunità la ragazza amiœ ha una sua personalità ben distinta. Ciò non vuol dire che non possa essere fragile o non possa manifestare insicurezze, significa che cerca di essere consapevole del fatto che è un soggetto senziente con caratteristiche ben precise e uniche:

“La ragazza amiœ ascolta le opinioni altrui e non faro sarebbe un po’ stupido. È che poi ci pensa su, si guarda allo specchio e decide lei che cosa è meglio, perché ciascuno da un giudizio sulla base di propri gusti, della propria sensibilità (…) la decisione finale deve essere sua.” (pag. 100).

Questa forza d’animo e indipendenza si esprime sia in famiglia che a scuola. Una delle espressioni più utili in famiglia è “Possiamo pārlœrnē?” 

“Per ricordare che si può sempre discutere, capirsi, chiarirsi. E che imporre un punto di vista non è mai la soluzione. Certo, poi i genitori hanno l’ultima parola…” (pag. 103). In sostanza la ragazza corsiva: “Rispetta le regole: se non le ritiene giuste non le infrange, ma prova a cambiarle.” (pag. 106).

Illustrazione di beeple (mike winkelmann) http://www.beeple-crap.com (http://www.beeple-crap.com/) Charleston, SC, USA. Licenza Creative Commons via Behance.

Indipendenza e consapevolezza

Questa consapevolezza e determinazione contraddistingue la ragazza corsiva in tutti gli ambiti. A scuola “Fa quel che deve ricordando che c’è una vita oltre la classe e la verifica.” (pag. 117). In ogni caso non c’è nulla di “irrimediabile”, bisogna essere consapevoli, sapendo rispettare le regole e sapendo anche che “Teoricamente i professori richiederebbero un rispetto maggiore…”(pag. 109, i docenti saranno contenti!).

In questo quadro la ragazza corsiva è una persona che sa stare al gioco e sa esercitare la grande dote dell’autoironia. Queste due qualità significano in sostanza che di fronte al mondo circostante la ragazza corsiva sviluppa degli antidoti, degli anticorpi per non prendere troppo sul serio il mondo in cui vive e neppure se stessa: “credo che nella vita accada quello che deve accadere” (pag. 133) e le stesse relazioni (d’amore) “si valutano vivendole, grazie a quello che ti fanno sentire.” (pag. 134). 

Questa relativizzazione (non è fatalismo), è una forma di difesa e di tutela che permette di vedere le cose con maggiore distanza e indipendenza, di preservare la propria personalità e allo stesso tempo di vivere la vita. Quindi la ragazza corsiva non si lascia fagocitare dal mondo, da problemi non suoi, da tendenze e comportamenti dominanti. Così: “Non inonda i social di foto di coppia (…) Si prende il tempo necessario per capire il futuro della relazione (…) Sa che qualche litigata è normale…” (pag. 81). La ragazza corsiva “Davanti a uno scherzo sorride, oppure ricambia, di certo non mette il broncio” (pag. 117) e, d’altro lato, “non scende mai al livello di chi attacca e insulta (…) trova il modo di difendersi con educazione” (pag.116). Può anche smettere di parlare corsivo se infastidisce gli altri, poiché “Il corsivo è solo un modo per esprimersi meglio in certe occasioni.” (pag. 117).

Questo generale senso relativo delle cose e allo stesso tempo di presenza e consapevolezza, poggia sempre sui sentimenti, che per la ragazza corsiva sono il valore su cui fondare la sua vita: 

“Ci si può vergognare di molte cose nella vita ma non dei propri sentimenti” e, allo stesso modo: “Non si scherza con il cuore, punto. E non c’è ragione valida per illudere, “usare” le persone, fingere sentimenti che non si provano” (pag. 75).

Illustrazione di beeple (mike winkelmann) http://www.beeple-crap.com (http://www.beeple-crap.com/) Charleston, SC, USA. Licenza Creative Commons via Behance.

In conclusione

Leggendo con attenzione questo libro troviamo che tutte le regole, i suggerimenti, le riflessioni, i consigli che tendono a definire il modello della ragazza corsiva, ruotano intorno ai sentimenti di cui si chiede sempre il riconoscimento e il rispetto. Il riconoscimento sia dei propri che di quelli altrui e il rispetto reciproco.

Se assumiamo il punto di vista di un giovane che osserva il mondo di fronte a sè, che cosa vediamo se non un mondo in cui i sentimenti sono calpestati, mistificati, banalizzati, invertiti?

E che cosa significa questo se non che la sua stessa personalità viene banalizzata e calpestata? E come vien messo in atto questo meccanismo se non attraverso il linguaggio?

Dunque non è forse naturale che tendano a formarsi aggregazioni che cercano una propria identità attraverso un linguaggio che li protegga, che li delimiti?

Trovo molto logico e legittimo questo processo: il linguaggio, per definizione, è delimitazione, diversità, alterità, soggettività.

I valori sani a cui il libro di Elisa si riferisce, sono costantemente presenti nel suo discorso, addirittura lo fondano. In un’epoca di decadenza e di imbarbarimento come la nostra questo non è scontato. Infatti potrebbero sorgere – e forse sono in gestazione – linguaggi nichilisti, perversi e devastanti pronti a distruggere tutto, vittime della stessa barbarie alla quale magari vorrebbero opporsi.

Elisa invece nel suo piccolo, proprio come Dante all’epoca (scusino i benpensanti), trova nel linguaggio un nucleo di valori  etici attraverso i quali i contrastare questa deriva sociale per tentare di ricostruire una socialità fondata su relazioni interpersonali sane.


 

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