Un racconto sul linguaggio
Il linguaggio di una comunità di parlanti che si identifica in un una lingua composta essenzialmente da significanti fluttuanti, più precisamente non si identifica in quello che dice, ma nel modo di utilizzare una lingua dal punto di vista dei significanti e non della sua corrispondenza biplanare basata su un codice arbitrario di unità minime (che è esattamente quello che definisce una lingua), che tende invece a sfuggire.
Il monologo di pensieri finali chiarisce bene questo concetto (se il lettore che fa la spesa da MacDonalds riesce ad arrivare fin lì).
Il silenzio non è facile da comprendere ma se si vuole leggere un romanzo con una storia avvincente e fedele alle regole delle scuole di scrittura, si scelgano titoli appropriati. Se si legge Il silenzio, alla fine non si può dire “mi piace” – “non mi piace”, perché la domanda da porsi non riguarda il gusto personale, ma è:
di che cosa parla questo racconto?
Assenza di corrispondenze
Bene, a mio avviso parla del linguaggio (e poi vedremo che parla anche del tempo), inteso come un puro mondo di significanti che navigano fra persone vuote come le loro parole, prodotte con lo stampino della modernità post-moderna. Cioè della barbarie in cui il sistema ci trascina. Il linguaggio, in questo caso, non è più una corrisponde biplanare basata sulla combinazione di unità minime, perché quella che è sparita è proprio la corrispondenza.
Il titolo del libro è Il silenzio in un romanzo che è pieno quasi esclusivamente di parole dei suoi personaggi. Come fa un romanzo a intitolarsi Il silenzio, se è pieno zeppo di dialoghi, di riferimenti, di temi, di oggetti di conversazione? Cioè se il silenzio, in questo racconto, non esiste proprio? Lascio la risposta al lettore, lo legga e ci pensi su (faccia uno sforzo), perché ciò che conta di questo romanzo è la discussione che genera (nei lettori con un minimo di sale in zucca, cioè disposti a svolgere un’ndagine indipendente).
Io posso dire che in una comunità di “parlanti” saltano le corrispondenze che fondano il linguaggio e, proprio mentre queste corrispondenze saltano, ecco che, paradossalmente, la vita intera si riempie di linguaggio fino a non lasciare più alcuno spazio alle persone e alla loro stessa esistenza che appare inutile, priva di valore.
Il lettore dovrebbe ragionare su questo, perché il suo giudizio “non mi piace” deriva proprio dal fatto che se i personaggi spariscono, se sono risucchiati da un linguaggio privo di corrispondenze, ovviamente non può seguire una storia e, altrettanto ovviamente, non si può identificare con nessun nome (poiché anche la dominazione, in un linguaggio – non linguaggio, non ha più alcun senso ed è indifferente per qualsiasi soggetto). Per cui ecco che, fermandosi a questo livello narcisista (dato che legge per identificarsi in qualcosa, cioè per essere “eroe”), ai suoi occhi il romanzo perde di valore, “non mi piace”. Questo stolto della lettura si dovrebbe elevare come fece il servo della gleba durante la rivoluzione francese.
Perchè qui si è varcato il Rubiconde?
Anche nei racconti di Carver il mondo linguistico pareva un mondo di significanti senza corrispondenze biplanari ma, quello che io penso, è che se anche i racconti di Carver, per esempio nella raccolta Vuoi star zitta per favore, hanno proprio per tema il linguaggio e la comunità di parlanti che viene da questo identificata, non siamo ancora alla rottura completa delle corrispondenze e alla perdita di connessione fra unità minime linguistiche. Il filo sta sfociando nell’assurdo ma tiene ancora.
In Il silenzio invece la corrispondenza è saltata e le unità minime sono libere composizioni prive di grammatica e di sintassi, a tal punto che gli stessi personaggi, come avviene nella storia, possono inventare delle parole ritenendo che siano sempre esistite, che la loro conoscenza sia qualcosa che vada al di là del linguaggio stesso e cioè, in definitiva, che il linguaggio non abbia più senso, non abbia più significato, sia solo un significante manipolabile a piacere. La sua comunità di parlanti può impiegare e manipolare qualsiasi suono alle quali viene attribuito lo statuto di parole perché, sganciate da ogni esistenza reale e concreta, queste parole sono solo un involucro, un contenitore senza contenuto, senza sostanza, un dialogo del soggetto con se stesso, ma senza essere un monologo interiore, cioè senza essere un qualcosa che abbia almeno l’apparenza di possedere un riferimento esistenziale, poiché è collocato in una community solo occasionalmente.
Qualche lettore ci potrebbe vedere qualcosa di diverso, ma la discussione da fare non è sulla storia e i suoi meccanismi narrativi ed estetici, ma sul significato o sui suoi significati. Detto in altri termini: parliamo di questo libro a un livello diverso, quello della sua comprensione.
Il tema di Il silenzio (De Lillo) è lo stesso di Zombie (Oates)
Il silenzio si colloca sullo stesso terreno di un altro romanzo breve, che sembra abbia per tema uno psicopatico con la sua storia (il lettore lo potrà leggere anche così, se crede), invece anche questo ha come tema il linguaggio, un mondo di significanti che connota una serie di soggetti, fra cui questo giovane assassino, Quantin. Mi riferisco a Zombie, della Oates. Quest’ultimo ha “più” storia, se vogliamo, rispetto a Il silenzio, ma tanto non è affatto la storia che conta, bensì come Quentin e gli altri protagonisti vivono e manipolano un mondo di linguaggi. Così se lo leggete per seguire una storia, a mio parare sbagliate. Anche in questo caso la discussione dovrebbe essere fatta sul terreno della comprensione e, in particolare, sul “linguaggio”, sul mondo di puri significanti che girano intorno ai personaggi e li identificano come figli di una modernità vuota e distruttiva.
Leggete Zombie per seguire il linguaggio e fate lo stesso con Il silenzio.
© Alberto Pian
Il tempo
A controprova che i tema è proprio il linguaggio, in entrambi i racconti è centrale la manipolazione del tempo. Il serial killer Quentin viaggia con un orologio senza lancette poiché è lui a stabilire il tempo e non il codice sociale, così come il linguaggio è privo di codice biplanare, il tempo è una pura forma che fluttua senza più un metro oggettivo di misurazione. Ma la stessa identica cosa avviene nei protagonisti di Il silenzio, dove il tempo non ha più alcuna importanza. Non serve misurare, non serve sapere in quale punto del suo scorrimento si trova il soggetto, non serve sapere quale sia il fuso orario. Il tempo è privo di un codice di corrispondenza, esattamente come il linguaggio. Non è un caso perchè tanto il tempo che il linguaggio sono invenzioni umane, sono codici arbitrari stabiliti con lo scopo di determinare delle funzioni sociali, collettive che nei due romanzi sono completamente saltate, nonostante l’apparenza indichi esattamente il contrario. Indica esattamente il contrario perché i protagonisti usano il linguaggio e il tempo, con precisione, lo vivono, ne sono immersi, quando invece il loro mondo è un mondo che si è privato (falsamente liberato), tanto dal linguaggio quanto dal tempo. La comunità sociale vive e va avanti ma, nei fatti, non esiste più.
Non esistono più codici arbitrari e quindi relazioni
E non si tratta della percezione di un tempo che appartiene alla sfera personale di ciascuno, in contrapposizione a un tempo oggettivo e misurabile che appartiene a tutti. Anche l’approccio filosofico di Bergson qui va in pezzi. Quell’approccio che, come nei racconti di Carver, manteneva ancora un flebile senso perché richiamava il rapporto molto concreto fra soggetto e poleis (individuo e comunità), tramandato dalla filosofia e dalla poetica greca. Lì il soggetto e il soggettivo si confrontavano con il collettivo, con la città, ne erano parte ma senza mai perdere la soggettività, all’interno di un rapporto giuridico che doveva essere equilibrato, contro la tirannia ma nel rispetto della responsabilità sociale e collettiva e del dovere del cittadino. Nei due romanzi questo rapporto dialettico e complicato salta, non esiste più. Ma non esiste più non perché il soggetto si rivolta contro la società o viceversa, perché la società opprime il soggetto, ma perché non esiste più il linguaggio, non esiste più il tempo e quindi saltano tutti i rapporti, tutte le relazioni. Non esistono più i due principali codici arbitrari creati dall’uomo e su cui si basano tutti i rapporti sociali: il linguaggio è puro significate e il tempo un orologio senza lancette.
Lo stesso pensiero non si può riferire più a nulla
Socrate vive il suo tempo personale quando si siede a riflettere sotto un albero e arriva molto in ritardo alla cena da Agatone alla quale, peraltro, si era autoinvitato. Egli vive un suo tempo personale e lo difende, lo difende anche contro le convenzioni (“si cena alle 20”, per dire), e riflette sotto una pianta, dopo esserci autoinvito a una cena. Scortesia? No, necessità di un tempo personale, proprio perché poi il tempo sarà dedicato al Convivio, cioè alla community, al gruppo, alla società con la quale e nella quale si discuterà di temi importanti, nella fattispecie, dell’Amore.
In Il silenzio (e in Zombie), non è più questo rapporto fra tempi differenti che si intersecano dialetticamente quello che conta. Quello che conta è il fatto che questa dialettica non esiste più perché il codice temporale è stato frantumato, le corrispondenze si sono spezzate, le differenze sono sparite. Così il linguaggio e il tempo non sono nemmeno più categorie, cioè qualcosa a cui il pensiero si può riferire con la sua intelligenza, perché puri significanti, fluttuano sempre più numerosi, tempi – linguaggi – parole, senza rapporti, senza connessioni.
I soggetti della “modernità post moderna”, cioè della barbarie
Questi sono i soggetti della modernità post moderna, cioè della fine di tutto, della barbarie, in cui questa società ci trascina come il Titanic.
Le persone in genere non capiscono questo approccio alla lettura di un romanzo. Giudicano così: c’è una storia, non c’è una storia, è raccontata bene, è raccontata male, ecc. Questo perchè la massa delle persone è ignorante, letteralmente, e l’ignoranza porta alla stupidità e la stupidità alla sottomissione. E’ ignorante per livello e per la qualità dei suoi studi, ma lo è anche perché non si applica a sviluppare una intelligenza critica, accontentandosi di vivere nel condizionamento intellettuale dei modelli e dell’ideologia dominante.
Del resto se la massa delle persone fosse in grado di vedere al di là di “mi piace” “non mi piace”, se fosse in grado di discutere realmente in modo critico e di cogliere, scavando, certi temi, cominciando con Il silenzio di Delillo e Zombie della Oates, per interrogarsi sul significato dei linguaggi e del tempo oggi, cioè dei codici arbitrari stabiliti dall’uomo per vivere in società, bé… di certo non ci troveremmo nel mondo in cui ci viviamo.
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