Nel Metaverso e in genere nei mondi virtuali la percezione di comunità è sostenuta dalla possibilità di incontrare e di interagire con altri avatar in ambienti più o meno realistici. Sono esperienze che i videogiocatori hanno provato già da tempo, così come i frequentatori di mondi virtuali come il buon vecchio Second Life. Anche negli anni novanta e primi duemila ci sono state numerose esperienze del genere. Dunque l’operazione di Meta non aggiunge elementi nuovi a queste esperienze, se non una migliore e più capillare tecnologia che, proprio per questo motivo, potrebbe essere fruita da una massa più significativa di persone. A questo punto anche la narrazione, lo storytelling, possono diventare un volano del suo sviluppo.
Marche e mondi virtuali
Nei mondi virtuali le marche propongono giochi per distribuire buoni sconto da spendere nei loro store e altre tecniche che appartengono ai temi della gamification (che non sono trattati qui). Per giocare, per provare capi di abbigliamento e per muoversi in un grande negozio virtuale della marca, bisogna “entrare” in un mondo, in un ambiente. Questo ingresso è propio ciò che conta per la marca, perché il pubblico deve percepire di far parte di qualcosa di staccato da tutto il resto: sta entrando nello spazio virtuale di un’azienda.
Pensate alla differenza fra l’attuale esperienza monodimensionale e piatta di Amazon, dove le marche e i prodotti sono confusi fra loro attorno ai risultati di una ricerca, con lo store del mondo virtuale 3D di una marca. La percezione di comunità nel primo caso è completamente assente, nel secondo può essere viva e “reale”.
La domanda è questa: che cosa potrà offrire la marca a un pubblico alla ricerca di una propria identità virtuale?
Quale che sia lo sviluppo e la qualità delle tecnologie, sostanzialmente proporrà esperienze virtuali (in parte già viene fatto anche se ancora grossolanamente), con i propri prodotti e servizi. Chi vende auto invita a guidarle, chi propone viaggi ne offre un assaggio, chi vende maglioni li fa provare su un avatar conforme ai dati fisici dell’acquirente, chi vende prodotti farmaceutici offre esperienze di benessere e così via…
Tutto è orientato esclusivamente a favorire un acquisto più semplice, grazie alla percezione di ingresso in una comunità trasmessa dall’ambiente virtuale del marchio. In questi contesti la percezione di comunità, per certi aspetti, può essere realistica rispetto a quella di un ambiente fisico. In effetti, quando il soggetto entra in un negozio che appartiene a un marchio, non interloquisce con altri soggetti fisici che, come lui, stanno esaminando i prodotti. Le barriere fisiche e morali lo impediscono. Al contrario, è più facile per gli avatar trovare punti di contatto diversi, chiedere pareri, commentare, essere attratti e “passare all’atto”. La protezione dell’anonimato fornita anche da un avatar che non coincide fisicamente con il soggetto stesso (normalmente lo rappresenta in modo più attraente, o più conforme a un ideale di sè), lasciano a quest’ultimo la libertà di stabilire contatti diretti senza troppe inibizioni.
Al primo livello di percezione, quello dell’ingresso nel mondo della marca, collochiamo le storie in grado di condurre il pubblico nello store.
Poi serviranno delle storie di mantenimento, per preservare i legami con il pubblico invogliandolo a rimanere o a tornare.
Infine, bisogna costruire delle storie di relazione per stimolare il pubblico a prendere contatti diretti con altri soggetti (avatar).
Fra questi assi il filone comune è di fornire racconti su nuove esperienze e opportunità di interazione con i prodotti, i servizi e le persone, con lo scopo di fornire un’esperienza di comunità diversa e maggiore rispetto ai luoghi reali di incontro di una marca.
Il cuore non sono le sensazioni ma le narrazioni
Perciò sbaglia chi dice che i mondi virtuali sono essenzialmente centrati sull’offerta di esperienze sensoriali. Questa è la base, ovviamente, ma il cuore dei mondi virtuali è nella fidelizzazione del cliente attraverso l’inglobamento nella propria comunità, nel proprio mondo, esattamente come in tutti gli altri casi. La differenza è che nei mondi virtuali occorrono tecniche e strategie diverse, specifiche, rispetto a quelle impiegate nel mono reale.
Detto in altri termini: tutta la questione dello storytelling si riduce a come portare il pubblico in questi mondi e a farlo interagire con gli oggetti e con le persone. L’attrazione tecnologica nei confronti del mondo stesso è di per sè effimera, perciò la curiosità iniziale deve essere sostituita da un legame profondo, che solo le storie, e non gli effetti WOW!, possono costruire, come vedremo molto bene lungo tutto il corso di questo manuale.
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