Alberto Pian

Alberto Pian

NARRAZIONE E TESTO SCIENTIFICO: LA FORMA È PIÙ IMPORTANTE DEL CONTENUTO. MELANIE KLEIN, LA PSICOANALISI DEI BAMBINI

A proposito di narrazione (storytelling), da qualche tempo scrivo sul rapporto tra testo scientifico e divulgazione. Ho anche affrontato questo tema in un capitolo del Grande Manuale dello Storyteller (vedi www.albertopian.it). Recentemente mi è capitato di riprendere un libro che avevo letto tempo fa. Si tratta di uno studio di Melanie Klein sulla psicanalisi dei bambini. Quelle che scrivo sono alcune riflessioni sul tema della narrazione in un ambito molto complesso e sicuramente di non immediata comprensione, come la psicanalisi. Mi riferisco al testo della Klein solo dal punto di vista narrativo e non per i contenuti.

Il registro diretto

La prima cosa che rilevo alla lettura di La psicoanalisi dei bambini, Martinelli, Firenze, 1988, è che il registro impiegato dalla Klein è diretto. La Klein offre al lettore una immediata spiegazione degli argomenti di cui tratta, “svela” in modo esplicito i significati delle parole, del gioco e delle azioni dei bambini.

La Klein non utilizza sinonimi, esclude riferimenti e costruzioni indirette come perifrasi, metafore, analogie e sottintesi. La sua interpretazione è esposta con un linguaggio crudo.

Ecco qualche esempio:

“Analizzando il suo bagnarsi e sporcarsi che rappresentava un attacco ai genitori uniti nel coito, questi sintomi furono eliminati”; “Risultò che gli oggetti contro cui aveva urtato (…) significavano, in armonia con l’identificazione primitiva e infantile, la madre o il padre che la punivano”; “Supponiamo che una bambina abbia concentrato le proprie fantasie sadiche sull’annientamento indiretto della madre per mezzo del pericoloso pene del padre e che si sia identificata intensamente con il padre sadico. Non appena le sue tendenze si faranno sentire, ella sarà spinta a reintegrare la madre mediante un pene benefico e quindi le sue tendenze omosessuali si rinforzeranno”.

La Klein è anche consapevole della complessità del linguaggio:

“L’analisi precoce dei bambini ha dimostrato ripetutamente quanti significati diversi un singolo giocattolo o un frammento di gioco possano avere e che possiamo inferirne e interpretarne il senso solo quando consideriamo i loro collegamenti più vasti e la situazione analitica globale in cui si collocano”.

Tuttavia questi “collegamenti” e la “situazione analitica globale”, a cui la Klein si riferisce, da lei non sono quasi mai specificati in modo concreto. Si tratta dunque di una sua scelta precisa.

Silence Tranquille, Magali R, licenza Creative Commons no profit. via Behance.

La narrazione di Freud

In L’interpretazione dei sogni, prima di descrivere i meccanismi dell’inconscio, Freud analizza centinaia di sogni. Le citazioni riguardano il processo di quelle stesse analisi. Nella Klein la storia del processo che, come ha spiegato lei stessa, è individuale e specifica per ciascun soggetto, non viene riferita. Nel testo della Klein non abbiamo quasi mai traccia del modo con il quale rimozione, condensazione, spostamento, meccanismi di difesa dell’io, situazione edipica, ecc. si combinano nella dialettica inconscio – conscio, da soggetto a soggetto. La Klein non esplicita il processo e le tappe delle sue interpretazioni.

Da un punto di vista narrativo ci dobbiamo chiedere questo: se il contesto concreto di questo processo viene tralasciato, allora non sarà forse più difficile capirne le argomentazioni? E, dunque, la struttura scientifica del testo della Klein non ne viene in qualche modo “indebolita”?

 “I sintomi ossessivi di Erna si spiegavano come segue. Il carattere ossessivo della suzione del pollice era dovuto a fantasie di succhiare, mordere e divorare il pene del padre e i seni della madre; il pene e i seni stavano a rappresentare rispettivamente il padre e la madre nella loro totalità. Come abbiamo visto nel suo inconscio la testa rappresentava il pene. Battere il capo sul cuscino rappresentava i movimenti del padre nel coito. Mi disse che, la notte, appena cessava di ‘battere’ con la testa, le veniva paura dei ladri e degli scassinatori. Per liberarsi di questa paura si identificava con l’oggetto stesso della sua paura.”

È certamente molto interessante questa dialettica dell’identificazione. Si tratta di un meccanismo descritto anche da Anna Freud in I meccanismi di difesa dell’io. Il lettore però non sa per quale motivo la Klein giunge a un’affermazione che può sembrare molto brutale come la fantasia di un bambino di divorare, mordere e succhiare il pene del padre.

Se la Klein non spiega come sia giunta a decodificare le situazioni simboliche che qui descrive, pensiamo che probabilmente questo non era lo scopo del suo libro e sarebbe più che legittimo da parte sua. Tuttavia lascia il lettore senza la storia dei processi che racconta. Lo lascia senza elementi di analisi e quindi di giudizio proprio perchè manca una narrazione, manca lo storytelling.

Il racconto non è un artifizio da aggiungere a un testo, ma un elemento strutturale per la sua comprensione. Freud, per esempio, si esprimeva sovente attraverso lunghe narrazioni. Non sto dicendo che Freud scriveva meglio della Klein, non ci occupiamo di queste valutazioni: ognuno scrive come preferisce. Però ci soffermiamo sulle caratteristiche e sulle conseguenze.

Narrazione e pregiudizio

Quando un lettore non dispone di sufficienti elementi di analisi per formulare un giudizio, inevitabilmente si formerà un pregiudizio.

Nulla da dire contro i pregiudizi, che in molti casi ci aiutano a vivere e tante volte ci difendono o ci spingono ad agire, ma i pregiudizi non sono valutazioni scientificamente fondate, o, più semplicemente, ponderate. Perciò l’idea di un lettore su una data opera potrebbe essere completamente sbagliata. Oppure potrebbe rinforzare precedenti posizioni non sufficientemente suffragate, invece di smontarle.

Per esempio, nel testo della Klein non troviamo una struttura logica di questo tipo: “ho scoperto questo (oppure: voglio dimostrare questo), vi spiego su quali elementi mi appoggio, vi racconto come sono emersi, perché mi concentro proprio su questi elementi e non su altri e infine verifico che questi elementi siano utilizzati correttamente”.

Fra le sue affermazioni ve ne sono di scientificamente stimolanti e interessanti, ma spesso non sono motivate e raccontate. Eppure, lo afferma in diverse occasioni, le sue conclusioni sono il frutto di centinaia di sedute per ogni caso. Ovviamente non ne dubitiamo e concludiamo nuovamente che quella della Klein sia stata una precisa scelta.

Un livre de psychanalyse, Magali R, licenza Creative Commons no profit. via Behance.

Destinatari di un testo

A questo punto è naturale porre una questione di fondo: a chi è destinato il libro della Klein? Per chi lo ha scritto? Per quale scopo, per quale pubblico l’editore lo ha pubblicato?

Io penso che, ancora oggi (e ancor più ai tempi della Klein), il profano non accetterebbe una descrizione delle fantasie di un bambino nei termini di: “il suo bagnarsi e sporcarsi che rappresentava un attacco ai genitori uniti nel coito” senza essere introdotto con pazienza alla sessualità infantile.

D’altra parte, mi chiedo, lo specialista potrà seguire davvero senza alcuna difficoltà le analisi e le conclusioni della Klein, dato che il loro stesso processo non fa parte della trattazione? In altri termini: lo specialista dispone di elementi sufficienti per comprendere scientificamente le spiegazioni della Klein?

Ovviamente questo non significa che le conclusioni della Klein non siano il frutto di indagini serie o, addirittura, che siano scorrette. Semplicemente vuol dire che vanno esaminate ciascuna nello specifico e che l’impresa non è agevole, dato che manca il racconto che le possa spiegare e legare fra loro.

Il mio punto di vista è che il racconto è utile. A questo proposito il testo della Klein può essere un boomerang contro la psicanalisi, ecco perchè Il racconto e la sua forma sono più importanti degli stessi contenuti. Una forma sbagliata allontana il lettore, anche se i contenuti sono corretti.

Lo storytelling è uno strumento indispensabile, sia che ci si rivolga a un pubblico di specialisti, sia che ci si indirizzi a una platea più ampia.

Nel primo caso il ricercatore potrà seguire più agevolmente il percorso scientifico che gli viene proposto, lo potrà confutare, esaminare criticamente, corroborare senza dover ricostruire l’esperienza, sottintesa perché non raccontata. Nel secondo caso il pubblico non comprenderà tutti i particolari passaggi, forse anche da un punto di vista lessicale, ma sicuramente si potrà fare un’idea generale e avrà compreso che le storie che supportano i dati sono significative.

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