Alberto Pian

Alberto Pian

IPERBOLI E IRONIA NELLO STORYTELLING. A PROPOSITO DI UNA CAVIGLIA ROTTA, DI UN TUMORE AL FEGATO E DELLA LORO NARRAZIONE

Approfitto di questo banale incidente (rottura di una caviglia), per toccare un tema delicato dello storytelling: la scelta del tono narrativo (che comprende punto di vista, lessico, stile e genere). In particolare ci concentriamo sull’impiego dell’iperbole, dell’ironia / autoironia e del loro collegamento con il valore del soggetto di riferimento (che comprende anche la reputazione), che può essere una persona, un professionista, un marchio.

Il fatto narrativo

Partiamo dalle circostanze. Queste non sono per nulla edificanti. Da un punto di vista narrativo, così come è avvenuto, il fatto non rappresenta una elevazione per il soggetto, ma una diminuzione, e anche una possibile fonte di scherno, di derisione.

Infatti l’incidente è avvento scivolando da fermo con la moto che è caduta sulla caviglia fratturandola. Può essere interpretato come il frutto di una leggerezza, di una disattenzione. Può essere visto come una “comica” alla Stanlio e Ollio carpentieri. Però il protagonista non è “Stanlio e Ollio” ma una persona normale fra tante.

Una scena quotidiana, nulla di speciale (Alberto Pian, Your Storytelling)

Questa persona, che sarei io stesso, potrebbe essere un professionista, un’azienda, un influencer, un personaggio che compie un’azione inconsueta, banale, che provoca dei danni personali.

Variazioni in base al valore: rottura di una gamba Vs tumore al fegato

Ragioniamo insieme su alcune varianti narrative. Questi sono i ragionamenti che mi impegnano durante l’elaborazione degli storytelling che creo per lavoro.

Iniziamo da questa considerazione: la rottura di una gamba è, in termini assoluti, un evento quasi insignificante nell’insieme dei danni possibili che la persona può subire. Invece un tumore al fegato, incurabile, è un danno drammatico che si colloca al vertice di una ipotetica scala, nella quale la rottura di una caviglia tende verso i gradini più bassi.

Questa scala è indipendente sia dalle circostanze che dal soggetto in questione: può essere povero o ricco, bianco o nero, il peso relativo del danno non cambierà. Tra l’altro, legalmente, i danni alla persona sono quantificati da precise tabelle che sono alla base delle valutazioni delle compagnie assicurative.

Perché dobbiamo partire da questa osservazione?

Non tutto è lecito

Perché nello storytelling non è tutto lecito. È lecito ciò che si colloca all’interno del terreno valoriale specifico delle circostanza a cui si riferisce.

Faccio un esempio. Potete ridere del mio incidente, è legittimo, ma non potete ridere di una persona con un tumore al fegato. Questo è un limite che non si può superare. Per non ridere di un incidete banale e di per sé ridicolo (come una scivolata) da un lato, e per poter invece ridere di un evento drammatico e irreversibile dall’altro (come un tumore al fegato), bisogna che si verifichino o che costruiamo delle precise condizioni.

Nel primo caso l’evento deve essere trasformato in modo da cambiare le proporzioni del danno e quindi il suo valore.

“Si schiantava contro un TIR che procedeva contromano e ne usciva con una sola gamba ingessata.” Oppure, meno significativo dal punto vista narrativo: “Per evitare il TIR impazzito a tutta velocità scivolava di lato rompendosi solo una gamba.” Rispetto alla semplice caduta della versione reale il risultato (ingessatura) è identico. Cambia la proporzione tra causa ed effetto: si aspettava un danno irreparabile e invece ne è uscito con uno insignificante.

Dal plausibile allo straordinario

Notate che fra le due versioni: schiantarsi contro un TIR ed evitare un TIR, esiste una grande differenza sul piano narrativo. Questa differenza è data dall’uso dell’iperbole che nel primo caso rende straordinaria la storia. Nel secondo invece la storia perde il lato straordinario per rientrare nel “plausibile“, che non è l’ordinario, ma è pur sempre possibile.

Affronteremo fra poco il tema dell’iperbole ma, intanto, vedete che grazie all’iperbole possiamo passare dal “plausibile”, ancorché non così frequente, allo straordinario, che invece attira il lettore.

Rendere drammatico l’evento plausibile è facile

Veniamo ora all’evento drammatico e irreversibile. È facile renderlo ancor più drammatico, sentimentale e romantico con una iperbole:

“Per salvare vite umane nella centrale nucleare, vi entrava e usciva in continuazione, per ore, senza sosta, senza respirare, senza mai togliersi lo scafandro, moltiplicando le sue forze per trascinare fuori le persone agonizzanti. I danni irrimediabili al fegato sono stati provocati dalle radiazioni”.

Concerto. L'iperbole visiva è data  dai colori e dai tessuti della band, ulteriormente accentuati nel racconto fotografico. Ph @albertopian
Concerto. L’iperbole visiva è data dai colori e dai tessuti della band, ulteriormente accentuati nel racconto fotografico. Ph @albertopian

Possiamo condire un fegato afflitto da tumore con tutte le storie che vogliamo purché il rapporto causa – effetto sia improntato a un chiaro sistema di valori (in questo caso salvare vite a prezzo della propria), nei quali il pubblico si riconosce. In tal senso la variante può ricondurre al valore anche seguendo uno sviluppo negativo. Per esempio: 

“È dipendente dall’eroina che assumeva fin dall’adolescenza e così ha contratto il tumore irreversibile al fegato.”

Non so se c’è una connessione fra eroina e tumore al fegato, quello che interessa è la dinamica inversa: arrivi al valore di liberati da o evitare una dipendenza, anche traendo le tue conclusioni da un comportamento autodistruttivo, cioè da un disvalore.

Questo tipo di narrazione è facile da costruire ed è anche banale, ma ha sempre il suo effetto. Tutti la usano come una specie di condimento, di spezia. La trovate ovunque, in qualsiasi serie TV, film, docufilm. Se non è esplicita è solo accennata ma esiste in una stragrande maggioranza di casi.

Ridere di una persona che ha subito un danno reale irreversibile non è socialmente corretto. Non perché non sia “politicamente corretto“, ma perché infrange quel sistema di valori umano al quale aderiamo.

Perciò è più complicato raccontare una storia in tal senso, ma è anche molto più stimolante.

Elevare il livello del racconto con valori trascendenti

Per farlo occorre riferirsi a un valore più grande rispetto a quello rappresentato dal tumore. Be’, vi chiederete: che valore mai rappresenta un tumore irreversibile? Be’, vi dico io, quello della vita di fronte alla morte annunciata figlioli miei, sveglia! Allora voi direte: se è così quale valore potrebbe addirittura essere più importante della vita stessa?

Per chi segue una religione l’al di là – o la salvezza eterna – è un valore più importante ancora della vita. Da ciò risulta che più importante della vita sono i valori che la trascendono. Fra questi non c’è solo l’al di là, ma anche valori più universali, accettati da chiunque. Uno fra tutti: l’Arte (la poesia, la musica, la pittura…). Un altro valore trascendente è la persona stessa, una persona che sia potatrice di valori chiari e di solidità morale trascende la sua stessa morte. Se ottiene fama questa persona vivrà “in eterno” nel ricordo delle future generazioni. Possiamo dire che questa persona assume una caratteristica eroica. Gli artisti, normalmente, sono queste persone: vivono insieme alle loro opere.

La domanda che mi ponete è allora questa: in base a questi discorsi come fai a trasformare un malato di tumore al fegato in qualche cosa di cui ridere? Sapete già la risposta, è stata implicita fino a ora: bisogna ricondurre quel malato a un valore addirittura più grande della sua stessa vita, affinché abbia qualcosa di “eroico” e/o dell’ “Arte”. Allora vedrete come costruiremo la legittimità del ridere di lui.

Vediamo concretamente degli esempi e poi analizziamo quello che abbiamo fatto.

Ecco come riscriviamo la storia

La combinazione di autoironia con l’iperbole può diventare una miscela particolarmente interessante e d’effetto nello storytelling.

“Siamo sull’orlo di un conflitto nucleare, non sappiamo in quale mondo vivranno o moriranno i nostri figli e le giovani generazioni e secondo te io mi dovrei preoccupare di un tumore al fegato? Anzi! Questo tumore mi permetterà di evitare di vedere questo pianeta saltare per aria con tutte le speranze dei miei ragazzi, anche se questo non eviterà di preoccuparmi profondamente per loro.”

L’iperbole costruita intorno al futuro del pianeta e delle speranze giovanili si mescola all’autoironia del protagonista. Così la storia diventa uno strumento di riflessione, un’occasione filosofica legata a sentimenti precisi (amore per i giovani, per la vita) e a valori universali (il futuro, la speranza di una vita migliore). IL tumore irreversibile al fegato diventa un fenomeno del tutto trascurabile perché si trasforma nella pietra angolare con la quale indagare questioni esistenziali, politiche, filosofiche che portano il pubblico a un livello culturalmente superiore.

Inoltre ciò avviene attraverso un cambiamento di posizione: il protagonista passa da vittima a dominatorela vittima diventa il mondo intero, perciò acquista un valore universale con il quale tutti si identificano, non perché ambiscano avere un tumore al fegato, ma perché è desiderabile possedere valori trascendenti universali che sono i soli in grado di sconfiggere simbolicamente la morte.

Se poi il protagonista dice tutto questo ridendo, con una buona dose di autoironia – e se lo può permettere benissimo – anche noi rideremo insieme a lui e, in un certo senso, diventeremo immortali come lui.

Ecco una variante in tal senso:

“Ahaha, veramente divertente! Tu non trovi le parole adatte di fronte al mio simpatico tumore? Eh, sai che tragedia! Siamo sull’orlo di un conflitto nucleare, non sappiamo in quale mondo vivranno o moriranno i nostri figli… e tu ti preoccupi di che cosa dire del mio fegato? Ahahah ma che razza di narcisista sei mai diventato!? Mentre tu sarai qui a osservare con i tuoi occhi,  io per fortuna non vedrò questo pianeta saltare per aria insieme alle belle speranze dei miei ragazzi. Tu soffrirai, amico mio, non io! Ti dovresti occupare di loro, piuttosto. Dai bevi, tieni, il mio fegato te lo implora! Sorridi che adesso a vita è ancora bella e poi non ne avrai più l’occasione. Sai che ti dico? Sono piuttosto preoccupato per te, vecchio mio!”

Illustrazione di Mojo Wang, NY, licenza Creative Commons, via Bheance.
Illustrazione di Mojo Wang, NY, licenza Creative Commons, via Bheance.

La struttura del discorso

Iperbole, ironia e autorironia rendono facile il ribaltamento conclusivo nel quale le parti si invertono. Vediamo come sono disposte nel testo che avete appena letto.

“(IRONIA) Ahaha, veramente divertente! Tu non trovi le parole adatte di fronte al mio simpatico tumore?

(IPERBOLE) Eh, sai che tragedia! Siamo sull’orlo di un conflitto nucleare, non sappiamo in quale mondo vivranno o moriranno i nostri figli…

(IRONIA) e tu ti preoccupi di che cosa dire del mio fegato? Ahahah ma che razza di narcisista (IPERBOLE) sei mai diventato!?

(AUTOIRONIA) Mentre tu sarai qui a osservare con i tuoi occhi,  io per fortuna non vedrò questo pianeta saltare per aria insieme alle belle speranze dei miei ragazzi.

(IPERBOLE E RIBALTAMENTO) Tu soffrirai, amico mio, non io! Ti dovresti occupare di loro, piuttosto

(IPERBOLE) Dai bevi, tieni, il mio fegato ti implora!

(IRONIA) Sorridi un po’ che la vita è ancora bella e

(AUTOIRONIA) poi non ne avrai più l’occasione.

(IPERBOLE, IRONIA, AUTOIRONIA E RIBALTAMENTO insieme) Sai che ti dico? Sono piuttosto preoccupato per te vecchio mio!

Come abbiamo utilizzato l’iperbole e l’ironia

Abbiamo visto che è facile costruire eroismo nel dramma: basta mettersi nei panni di Tom Cruise e considerare una centrale nucleare con vite umane da salvare. Ma elevare il dramma ridendone senza sfociare nel comico, è un’altra cosa.

Ci siamo aiutati con l’ironia, combinata con l’iperbole.

L’iperbole è servita per abbassare di valore il tumore, l’ironia per elevare il valore del soggetto che subisce il tumore. Il soggetto deve essere in grado di ironizzare sul proprio tumore al fegato. Per ironizzare deve appellarsi a valori umani talmente universali da ridurre il livello valoriale (la vita stessa) che appartiene al tumore al fegato. Non abbiamo abbassato il livello fino a quello dell’ingessatura di una gamba, ma lo abbiamo ridimensionato in base a valori “superiori”. Allora si, abbiamo potuto “ridere” di un tumore al fegato perché abbiamo riso insieme a chi lo subisce e, contemporaneamente abbiamo elevato il soggetto a una condizione superiore e universale rispetto alla sua personale tragedia. Egli sarà considerato un veicolo di questi valori e non più la vittima di una tragedia personale.

Quello che abbiamo fatto: trasformare la “vittima” in “dominatore”

Illustrazione di Mojo Wang, NY, licenza Creative Commons, via Bheance.
Illustrazione di Mojo Wang, NY, licenza Creative Commons, via Bheance.

Abbiamo visto che se è il soggetto stesso a ridere del proprio danno irreversibile, se non lo fa per mascherare un dramma o per allentare la tensione, ma “ride seriamente“, cioè con la reale convinzione che la sua vita sia trascurabile rispetto ai valori universali in cui crede, avremo l’autorironia. Questa nasce dalla reale e consapevole accettazione della morte come dato inseparabile dalla vita stessa e quindi come elemento di coscienza superiore. Allora ecco che saremo autorizzati a ridere del dramma insieme a lui nel nome di valori superiori e universali.

In una storia di questo tipo abbiamo una combinazione di iperbole e di ironia (autoironia).

L’iperbole è nel fatto che normalmente il soggetto che subisce un danno irreversibile non ride di questo danno, ma ne è sopraffatto. Al contrario, il nostro personaggio si eleva al di sopra dei tradizionali comportamenti di massa. Egli esagera. Però questa esagerazione non è fine a se stessa, altrimenti apparirebbe ridicola. Questa esagerazione è conforme a un sistema di valori, a una filosofia, un po’ come nel Socrate del Critone.

Parliamo della reputazione

Adesso però voglio parlare di me.

Il motivo è che ho una reputazione. Penso di essere conosciuto come uno che sa stare al gioco, che si diverte con la vita, ma è anche molto serio e preciso nei dettagli, che ride anche di sé… metteteci più valori positivi che potete nel definirmi, per me va benissimo!

Parafrasando Ismale potrei dire “Non chiamatemi pirla”. Anche Mourinho lo aveva detto una volta: “Non sono mica un pirla”. Dunque, perché mai dovrei farla io “figura del pirla” cadendo dalla moto da fermo e rompendomi una caviglia? Che  fine farebbe la mia reputazione se questa storia circolasse?

Perciò ecco come iperbole e autoironia possono cambiare il volto della realtà, difendere la mia reputazione e trasformarmi in un vero e proprio eroe da film!

Quello che conta è la versione dei fatti

A. Versione riservata solo ed esclusivamente a fini di analisi di storytelling:

Scivolavo da fermo e la moto ha sbattuto conto la caviglia fracassandola!

B. Official Version for Storytelling:

“Dunque c’era questo gruppo di terroristi talebani che insieme a una cosca della mafia russa e alla sezione torinese della n’drangheta era in procinto di far saltare per aria il centro di Torino, svaligiare tutto e rapire le donne con i capelli scoperti.

Io percepisco da lontano un certo odore nell’aria e mi dico: “Questo è odore di attentato!”

Quindi apro il gas, svolto a U e lancio la moto a piombo sul tetto del Van nero dal quale gli afgani guidati dalla CIA controllavano le trasmissioni e la rete cittadina. Ne atterro un paio e metto fuori uso l’attrezzatura. Inforco la moto e asfalto i russi con una manovra da trial outdor mentre quelli della n’drangheta mi vengono incontro con un cannoncino da 22mm e una gragnola di bombe a mano. 

Proprio mentre decido di scaraventarmi su questo manipolo dall’alto del monumento di p.za San Carlo, un’agguerrita vecchietta brandisce l’ombrello gridando loro: “Mascalzoni vigliacchi, andate a lavorare!”

Basta un attimo alle mie cellule neuronali di ultima generazione per ideare il Piano B. 

Così mi butto in una derapata da manuale con inclinazione 95° impegnando la mia adorata caviglia come perno della rotazione grazie alla quale, in un colpo solo, secco e preciso come un ingranaggio svizzero, evito la vecchietta e spedisco nel mondo dei sogni la n’drangheta al completo.

Alla fine la città è salva al solo prezzo di una ingessatura!”

Forte no? Ci vuole poco a riequilibrare le cose! Ah si, come dite? Be’ certo avete ragione, in questo caso occorre anche la complicità del pubblico. Sarebbe fatica sprecata se qualcuno divulgasse la versione A. Tuttavia è anche vero che qualsiasi narrazione richiede la complicità del pubblico. Perciò mi raccomando, vi prego, vi supplico, ricordatevi: A. versione di studio; B. Official Version da diffondere! È semplice, non fate sciocchezze.

Conto su di voi!

PS: certo, se avete storie migliori di questa o varianti sul tema, proponetele!

In conclusione

Come vedete questo piccolo incidente è capitato a proposito per scrivere queste riflessioni e anche per avere il tempo di farlo, qui dal divano, immobile con il mio fedele MacBook, due iPad e un iPhone.

Penso che scriverò anche altre riflessioni di questo genere perché dietro ogni soluzione narrativa ci sono delle tecniche ma, a differenza dei cultori delle scuole di scrittura creativa o di storytelling, nessun vero e autentico storytelling nasce dall’applicazione di un metodo o di giochi con le carte di Propp o con altre stramberie.

Certo, la maggior parte degli “scrittori” degli storyteller e dei copy d’agenzia userà pure questi “trucchetti da quattro soldi” (come diceva Carver) per impostare storie che incontrano anche i favori del pubblico (è comprensibile: c’è un decadimento culturale fenomenale fra le masse). Io preferisco seguire un certo istinto e sensibilità accompagnato da una continua riflessione e analisi.

Concerto. I dettagli nello storytelling contano molto più dei "metodi" e degli schemi delle scuole di scrittura cosiddetta "creativa". Ph @albertopian
Concerto. I dettagli nello storytelling contano molto più dei “metodi” e degli schemi delle scuole di scrittura cosiddetta “creativa”. Ph @albertopian

Una proposta per te!

Sei un professionista, un creator – influencer, un’azienda piccola o multinazionale che sia? Interpellami, scrivimi, telefonami, racconta una cosa per te significativa, dalla quale vorresti ricavare il filo rosso di grandi storie. Fra coloro che mi contatteranno ne sceglierò solo due a mio gusto e creerò gratuitamente un progetto per loro durante il periodo della mia convalescenza.


Note a margine: parliamo dell’iperbole

L’iperbole è una figura della retorica che definisce l’esagerazione di un concetto. Questa esagerazione può essere per eccesso o per difetto. Dal nostro punto di vista esistono però due tipi di iperboli, una letteraria e una narrativa. Quella letteraria è un’iperbole aulica, “dotta”, poetica, quella narrativa ha invece lo scopo di mostrarsi evidente, di colpire il lettore, di portarlo a un altro livello.

La Treccani formula questi due esempi: “le grida salivano alle stelle” e “non ha un briciolo di cervello”. Quelle citate da Treccani sono più che altro iperboli letterarie, presentano dei limiti dovuti anche al loro frequente uso. Da un punto di vista dello storytelling non suscitano molto effetto poiché, per il loro uso, sono diventate “normali”, consumate, non generano nel racconto quel contraccolpo che ci sarebbe utile.

Siamo anche abituati a iperboli cinematografiche. Pensate ai film d’azione dove scene di inseguimento e lotta diventano tanto più tecniche e avvincenti quanto inverosimili. Il principale compito dell’iperbole è di variare il ritmo e il livello della narrazione. Questa variazione serve per riprendere l’attenzione del pubblico. È come quando in TV e radio aumenta all’improvviso il volume della pubblicità: “Ehi pubblico, vedi un po’ qua!”.

Un’iperbole ben costruita può distorcerein maniera eccezionale il racconto portandolo molto lontano  dal livello di partenza. Non esiste una misura per applicare un’iperbole, ma solo una sensibilità, un equilibrio. Questo equilibrio viene a sua volta rideterminato alla conclusione dell’iperbole, quando il mondo iperbolico rientra nel livello di normalità da cui è partito:

“Tutto bene papi?”

Si, andiamo a prendere un gelato!”

Dice Tom dopo aver salvato la Terra e distrutto le flotte nemiche dei due Soli Magmatici.

Parliamo dell’autoironia 

Il dizionario De Mauro mi interessa più di altri perché considera tutti e quattro gli aspetti dell’ironia e non solo quello tradizionalmente indicato che consiste nel dissimulare il proprio pensiero presentando un concetto contrario, es: “Che capolavoro impeccabile hai realizzato!” mentre Fantozzi direbbe più prosaicamente: “È una boiata solenne!”

A noi interessa piuttosto questo significato: 

3. CO atteggiamento che consente di affrontare la vita in modo critico e con distacco: vivere con ironia, mancare di ironia, prendere le cose con ironia |atteggiamento di distacco di un artista dalla materia che tratta: l’ironia del Manzoni, dell’Ariosto”

In conseguenza, l’autoironia è l’ironia rivolta su se stessi. Non distacco dal mondo ma da sé. È ciò che ci permette di ridere di noi stessi.

Illustrazione di Mojo Wang, NY, licenza Creative Commons, via Bheance. (Alberto Pian Your Storytelling)
Illustrazione di Mojo Wang, NY, licenza Creative Commons, via Bheance.

 


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